Medio Oriente - Tregua a Gaza, stragi su altri fronti
- Roberto Roggero
- 25 feb
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Aggiornamento: 7 mar
Roberto Roggero* - Se nella Striscia di Gaza è stato raggiunto un cessate-il-fuoco, pur estremamente vacillante, le truppe israeliane continuano impunemente a portare guerra e distruzione in altri territori.
Nonostante la nuova situazione e il nuovo governo a Damasco, il premier israeliano Netanyahu ha annunciato la ferma decisione di non ritirarsi dalla Siria, e non permetterà a combattenti siriani di entrare nel territorio a sud della capitale Damasco. In particolare, il riferimento è al monte Hermon, o Jabal al-Sheikh, che l’IDF ha occupato lo scorso dicembre, approfittando del caos seguito alla fuga di Bashar al-Assad. Nel frattempo, il presidente americano Trump, starebbe invece considerando il ritiro di migliaia di soldati americani dalla Siria, lasciando un vuoto che Tel Aviv si affretterebbe a riempire. Reparti della IDF sono già schierati su circa 15 km lungo il confine siriano, con il programma di estendere lo schieramento per un totale di 60 km all’interno della Siria, e per un “tempo illimitato”.
Con l’attenzione volutamente mantenuta su Gaza, una ulteriore palese violazione della sovranità nazionale di un altro Paese e degli accordi internazionali, secondo i quali Israele di doveva ritirare completamente dal sud del Libano entro il 26 gennaio, cosa puntualmente ignorata, grazie alla proroga del provvedimento spostato al 18 febbraio. Alla fine, la scorsa settimana l’esercito israeliano ha effettivamente ritirato le proprie forze dalle città meridionali del Libano, ma ha comunque mantenuto la presenza militare su cinque avamposti situati lungo il confine.
Il comitato ONU per il monitoraggio del cessate il fuoco (USA, Francia e UNIFIL) non è riuscito a fare rispettare l’attuazione della clausola più importante dell’accordo, ovvero il ritiro completo. La IDF mantiene il controllo sulle colline di Hamames, Labbouneh, Blat, Aaziyyeh e il Monte Al-Deir. Di conseguenza, l’occupazione israeliana in Libano sembra dovuta più a motivi psicologici, che strategico-militari.

La posizione del Governo libanese è coalizzata nel rifiutare la presenza del nemico all’interno del territorio libanese, ribadendo la necessità del ritiro, in conformità con il diritto internazionale e come previsto dalla Risoluzione ONU 1701.
Per quanto riguarda la Cisgiordania, gli israeliani continuano impunemente a uccidere, schierando anche i carri armati, per la prima volta dopo oltre vent’anni, avviando una massiccia e violenta operazione militare, costringendo 40mila palestinesi a fuggire dai campi profughi del Nord. Tel Aviv ha poi annunciato che le truppe IDF presidieranno i campi profughi della Cisgiordania per tutto l’anno, e gli sfollati di Jenin, Tulkarem e Tubas non potranno tornare alle loro case. Molto dubbio il pretesto per avviare il tutto, i quanto meno strani attentati contro autobus vuoti nella città di Bat Yam, ovviamente imputati a “terroristi palestinesi”. Secondo quanto dichiarato in sede ONU, in Cisgiordania più di 50 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane, da quando è stata lanciata la nuova operazione il mese scorso. Fra questo, numerosi sono le donne e i bambini, fra cui Remas Al-Amouri, “pericolosa terrorista palestinese” di soli 13 anni, colpita alla schiena mentre si trovava nel cortile della sua casa a Jenin, o come l’altro “pericolosissimo criminale” Ayman Nassar Taysir al-Haimoni, “sanguinario guerrigliero” di 12 anni, ucciso anche lui con un colpo alla schiena.
(*Direttore responsabile Assadakah News)
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