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Medio Oriente - La proposta di pace Kidwa-Olmert

Assadakah News - Primo Levi scriveva: “Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele”. Una verità evidente, e nel contesto attuale parlare di pace potrebbe sembrare bizzarro, se non quasi temerario. Eppure una reale possibilità di pace esiste, e a suggerirla sono un palestinese e un israeliano, insieme: Nasser Al-Kidwa e Ehud Olmert, due esponenti politici ben conosciuti a livello mondiale.

Olmert è stato primo ministro dello stato ebraico dal 2006 al 2009, periodo in cui Israele lancio l’operazione “Piombo fuso” nel 2008 contro Gaza. Al-Kidwa è stato ministro degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese e ambasciatore all’Onu, nonché nipote di Yasser Arafat.

Ambedue sono molto critici sulle situazioni politiche dei propri Paesi, e oggi con una visione comune nell’illustrare un piano di pace congiunto, per altro presentato anche a Papa Francesco, che si è detto profondamente interessato.

Il piano di pace Kidwa-Olmert prevede la liberazione degli ostaggi israeliani in cambio del rilascio di un certo numero di detenuti palestinesi; il ritiro israeliano da Gaza e la creazione, nella Striscia, di un governo tecnico palestinese, collegato all’ANP e supportato da una forza di pace interaraba, per arrivare a elezioni democratiche, sia a Gaza che in Cisgiordania, entro due anni.

Il secondo punto è la pacifica convivenza fra i due popoli, con la creazione di due Stati basati sulla reciproca cessione di territori: a Israele il 4,4% della Cisgiordania, dove si trovano gli insediamenti coloniali (sebbene illegali), in cambio della cessione di una porzione equivalente di territorio, per creare un corridoio di collegamento fra Cisgiordania e Striscia di Gaza.

Ulteriore e fondamentale questione è Gerusalemme, sulla quale Al-Kidwa e Olmert propongono uno statuto speciale: la Città Santa gestita da un’amministrazione fiduciaria di cinque Stati (Israele e Palestina compresi), secondo le regole più volte indicate dal Consiglio di Sicurezza Onu”.

La Città Vecchia dovrebbe essere fuori da ogni controllo politico e dedicata alle tre religioni monoteiste che la considerano luogo santo di preghiera. In questo senso, Gerusalemme potrebbe essere pacifica capitale condivisa: per Israele nelle parti che erano già sue prima del giugno 1967, oltre ai quartieri ebraici costruiti dopo il ’67, che rientrerebbero in quello scambio di compensazioni territoriali del 4,4% di cui si è detto sopra; per la Palestina nella parte che includerà tutti i quartieri arabi che non facevano parte di Israele prima della guerra del ‘67.

Il piano di pace di Kidwa-Olmert non è una novità assoluta, per certi aspetti ricalca percorsi già esplorati con gli accordi di Oslo, ma ha una sua propria originalità, specie per la doppia appartenenza e per il carattere organico della proposta.

Detto questo, sia Al-Kidwa che Olmert si fanno poche illusioni, perché sarebbe necessaria una sorta di rivolgimento ideologico nella mentalità dei due popoli, che metta al primo posto la convivenza pacifica. Soprattutto perché dopo oltre 70 anni di guerra, si potrebbe presumere che i due popoli siano stanchi di odiarsi.

Di certo è anche necessario che si smetta di garantire, da parte degli USA, ogni impunità di fronte ai crimini israeliani, compresi quelli contro l’umanità. In piena offensiva a Gaza, la Knesset ha approvato, con appena 62 voti su 120, il “no” alla creazione dello Stato palestinese. A questo punto Israele e l’Occidente tutto hanno il dovere di rispondere a questa domanda: che cosa intendono fare dei palestinesi? Olmert e Al-Kidwa danno l’unica risposta razionale e concreta. Perché diventi reale occorre che i due popoli si affidino a leader lungimiranti, che dicano ai propri cittadini non ciò che vogliono sentirsi dire, ma ciò che è necessario fare.

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