Lorenzo Utile - Da giorni ormai l’ipotesi di una guerra aperta di Israele contro l’Iran sembra una minaccia sempre più reale, e alcuni analisti si sono espressi perfino affermando che non vi siano alternative a una tragica spirale bellica senza controllo. Questione di opinioni, più o meno valide, come quando, al lunedì mattina, ci si sente tutti tecnici esperti di calcio.
Può essere rischioso, però, calarsi nei panni di esperti analisti quando si è solamente “guerrafondai da salotto” che magari sperano addirittura nel crollo della Repubblica Islamica dell’Iran, sulla scia dei deliri del premier israeliano Netanyahu, la cui lunga carriera politica (aperta e favorita dalla morte del fratello durante il raid di Entebbe) ha sempre avuto come scopo finale. Una manifestazione smaccatamente ipocrita, e una dichiarazione che ha il sapore di una presa in giro, sentendo parole come “il fraterno popolo iraniano deve sapere che Israele è al suo fianco, per un futuro di prosperità e di pace, perché non c'è nessun luogo in Medio Oriente che Israele non possa raggiungere”.
Intanto, tra Washington e Tel Aviv, sembra la cosa più naturale del mondo discutere e trattare se Israele possa colpire anche le strutture nucleari di Teheran o solo quelle petrolifere. Come se, appunto, la vita di milioni di iraniani fosse un dettaglio e così le loro condizioni di vita, già pesantemente provate da decenni di sanzioni economiche. C’è perfino un analista che si spinge a dire, senza chiarire su quali dati, che “l'80%” della popolazione vede Netanyahu come un alleato, e che quando quest’ultimo attaccherà la Repubblica Islamica porterà molto probabilmente al crollo del sistema dall'interno". Non ci si deve stupire poi, se Israele è considerato "la bestemmia geopolitica della Regione”.
A parte la discutibile teoria che le cose in Iran vadano diversamente che nell’Iraq del 2003 invaso dagli Stati Uniti, come nella Siria devastata da una guerra civile fomentata da forze esterne, non è chiaro da dove venga la convinzione chela maggioranza degli iraniani non veda l’ora di accogliere le forze armate israeliane e americane…
Oltre retorica fini a sé stesse, attendismo, “pazienza strategica” e mosse calcolate, che Teheran ha usato finora nelle sue azioni dirette contro Israele, e anche le modalità stesse del suo ultimo attacco missilistico (preannunciato e senza vittime, con una sola eccezione) dimostrano come siano ancora aperte le possibilità di dialogo.
Significativi segnali anche dal mondo arabo, specialmente dall’area del Golfo. A lungo corteggiata da Israele perché aderisca agli Accordi di Abramo, l’Arabia Saudita ha espresso al presidente iraniano Pezeshkian la volontà di superare le differenze del passato, riconoscendo la saggezza dell’Iran nel gestire la situazione, e nel contribuire alla pace e alla stabilità nella regione. Parole ancora più chiare da parte di Sayyd Badr bin Hamad al Busaidi (foto) ministro degli Esteri dell’Oman, Paese che ha più volte ospitato i negoziati fra Teheran e Washington. “È facile per certi governi restare a guardare e condannare le azioni iraniane. Ma questo non risolve nulla. Dobbiamo affrontare l'innegabile realtà che è solo ponendo fine all'occupazione illegale della Palestina da parte di Israele che possiamo sperare di riportare la pace nella regione. Chiunque creda che possiamo raggiungere la pace con altri mezzi, contenendo l'Iran, eliminando Hamas, sconfiggendo Hezbollah o con un fermo sostegno politico, militare e finanziario a Israele, è un illuso, un ingenuo, o cerca di evitare la verità”.
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