Assadakah News Agency - Il Medio Oriente, forse la più importante regione del mondo dal punto di vista geopolitico, economico e strategico, è indubbiamente entrato in una nuova fase storica. Quasi tutti i Paesi del pianeta hanno qualche interesse in Medio Oriente, fino alle potenze mondiali locali e terze, dove le cifre sono addirittura difficili da immaginare.
Sull’onda dello storico riavvicinamento fra i due colossi, Regno di Arabia Saudita e Repubblica Islamica dell’Iran, si è avviato un processo di riavvicinamento diplomatico fra diversi Paesi in precedenza antagonisti, si è giunti all termine della drammatica guerra in Yemen, si sta superando il trauma della guerra civile in Siria, se pur con strascichi non ancora appianati e lo Stato Islamico ancora presente. Una regione messa comunque a dura prova, come è avvenuto con il devastante terremoto in Turchia e Siria del febbraio scorso, o l’esplosione al porto di Beirut e la crisi economica in Libano, per non parlare della Questione Palestinese, ancora senza soluzione.
L’attenzione ora è anche concentrata sul coinvolgimento negli avvenimenti in Africa, con particolare riferimento a Sudan e Niger. In sostanza, molti passi positivi, con iniziative di cooperazione e coesistenza (che comunque porranno nuove sfide) ma diversi problemi ancora da risolvere.
La Questione Palestinese (dove un importante passo avanti è stato l’accordo fra le fazioni interne Hamas e Fatah) non è certo una novità, ma rimane il fulcro delle questioni da risolvere, anche solo per le implicazioni. Riyad Maliki, ministro degli Esteri della Autorità Nazionale Palestinese, lamenta che la comunità internazionale abbia dimenticato il processo di pace, e in effetti non ha tutti i torti, visto che l’ultimo serio tentativo risale al 2014. I progressi hanno poi subito rallentamenti e tensioni, con interventi ben poco convenienti, come il riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele da parte di Donald Trump & C. La proposta “Vision for Peace”, d’altra parte, non convince il presidente palestinese Abu Mazen.
Gli Accordi di Abramo rimangono la più recente base su cui operare, con una probabile adesione dell’Arabia Saudita, mentre prosegue la politica di occupazione, l’espansione degli insediamenti illegali, le detenzioni preventive, anche di minori, rinchiusi nelle carceri israeliane, senza parlare delle purtroppo quasi quotidiane uccisioni da parte delle forze di occupazione, e le condizioni in cui versa la Striscia di Gaza. L’unica possibilità reale rimane un colloquio diretto fra le parti sedute a un tavolo.
Lo scenario presenta poi le sfide che sta affrontando l’Iraq, proteso verso una rinascita che possa nuovamente vedere il Paese nel ruolo che gli compete, e la confinante Siria dove sono ancora presenti sacche di resistenza con formazioni dell’Isis e di fazioni che fanno capo ad Al Qaeda, nonché i problemi sul confine Siria-Turchia, a proposito della questione curda. In ogni caso, con la Siria nuovamente nella Lega Araba.
Di fatto, gli Accordi di Abramo dell’agosto 2020, restani la via tracciata ed eventualmente funzionale, visto che altri Paesi hanno poi aderito, fra cui Marocco e Sudan (che al momento ha ben altri problemi), e con il sostegno di Egitto, Giordania e Arabia Saudita.
Considerando i rapporti che molti Paesi arabi hanno con Mosca, la crisi ucraina ha rimescolato parecchio le carte. Un mese dopo l’avanzata delle truppe russe in territorio ucraino, i ministri degli Esteri di Usa, Egitto, Israele, Marocco, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti si ritrovarono in Israele, per confermare lo spirito degli Accordi firmati due anni prima. Calorose strette di mano ma nessun documento ufficiale. L’Arabia Saudita, il cui rapporto con gli USA risale alla seconda guerra mondiale, ha mostrato grande cura nel preservare il rapporto con la Russia, tanto da decidere in sintonia con Mosca un taglio da mezzo milione di barili al giorno alla produzione di petrolio per tenere il prezzo sopra una certa quota, cosa che il Cremlino avrà certo apprezzato. Anche a non voler parlare dei blocchi generati dal Covid, vanno poi tenuti in conto altri sommovimenti che sono il frutto di processi politici di lungo periodo ma che le vicende più recenti hanno senza dubbio accelerato: per esempio, la riammissione della Siria di Bashar al-Assad nella Lega Araba o il disgelo tra Arabia Saudita e Iran mediato dalla presenza della Cina.
Mentre gli occhi del mondo sono puntati sull’est Europa e su Taiwan, gli eventi che si succedono senza un’apparente connessione tra loro e di cui spesso leggiamo sui giornali in brevi trafiletti ci ricordano che il Medio Oriente è come una scatola di fiammiferi pronta a prendere fuoco in qualsiasi momento.
Comments