“L’operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza, ha ormai provocato una tragedia umanitaria che ha ben pochi precedenti. E come ben si sa, non è purtroppo l’unica situazione di crisi in atto. Ma se si pensa che in Sudan, dove la sanguinosa guerra civile scoppiata lo scorso 15 aprile, ha causato circa 13mila morti, che cosa dire a proposito di Gaza, dove dal 7 ottobre le vittime sono già più di 18mila, di cui 7000 bambini?
Oltre un milione e mezzo di persone, metà delle quali con meno di 14 anni, sopravvivono in condizioni indescrivibili, rinchiuse in un territorio che non possono lasciare, in violazione dei più elementari diritti umani.
Soccorrere le vittime di questa tragedia è un dovere della comunità internazionale, ma bisognerebbe intervenire prima che tali tragedie si verifichino, e soprattutto, in caso sia ormai avvenuta, l’azione internazionale dovrebbe avere il primo obiettivo di fermarla, e non di limitarsi a tenere riunioni internazionali dall’esito scontato, o permettere che tali azioni continuino anche “nonostante le pressioni internazionali”, mentre migliaia di persone non sanno se vedranno il mattino seguente.
E’ la logica conseguenza del fatto che la crisi umanitaria, a Gaza e non solo, sia una questione politica, e in questo è coinvolta certamente anche l’Italia, che sta facendo pressione affinché Israele ed Egitto mantengano aperti i valichi della Striscia di Gaza e consentano l’accesso degli aiuti e del personale umanitario. Ma questa pur lodevole iniziativa, deve essere parte di un più forte e determinato impegno per fermare ogni violenza e per ottenere un accordo.
Se vogliamo aiutare davvero la gente di Gaza dobbiamo agire insieme, ma agire concretamente, oltre le parole. I problemi da risolvere sono così grandi che non si può pensare di agire unilateralmente o senza il consenso internazionale unanime.
E’ necessaria un’azione coordinata fra i governi, con solida cooperazione, se l’obiettivo deve essere la realizzazione di una strategia e di un piano di interventi.
E’ anche necessaria unanime solidarietà e professionalità per fare realmente valere quei diritti umani che in troppi ci limitiamo a definire “ignorati” senza dare un seguito concreto alle condanne verbali. Al tempo stesso è necessario disporre di un piano di interventi per le persone che stanno vivendo questa drammatica esperienza, specialmente i bambini. Pensare al “dopo”. I bambini delle aree più disagiate e più colpite dalla guerra, e quelli costretti a vivere in tendopoli provvisorie, senza protezione sociale e familiare, le donne con traumi da post-conflitto per perdita di familiari, violenza, amputazioni, insicurezza, paura, i minori in stato di anemia e malnutrizione e molti altri casi disperati. Intervenire oltre le parole”.
(Hussein Ghamlouche - Ambasciatore internazionale di Pace)
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