Roberto Roggero - (parte 1/2) Gli armeni lo chiamano Mec Yeqern, e ha lo stesso significato che la parola Nakba ha per i palestinesi o ciò che vuole dire “diaspora, inteso come rimozione forzata a scopo di pulizia etnica, ovvero sterminio, genocidio, che nonostante le certezze storiche, alcuni si ostinato ancora oggi a sottovalutare, se non negare.
Il fatto che certo avvenimenti siano avvenuti nei primi anni del ‘900 non giustifica il dimenticare e la ricorrenza del 24 aprile è appunto uno dei punti fermi per non dimenticare il genocidio armeno. Il giorno della memoria come il 27 gennaio lo è per la Shoah.
Eppure nella stessa lingua turca, che non ammette il crimine, esiste l’espressione “Ermeni Soykırımı” per definire il genocidio armeno, a cui talvolta viene anteposta la parola “sozde” (cosiddetto), oppure ci si limita a “Ermeni Tehciri”, deportazioni armene.
La associazione italo-araba Assadakah, che da ormai 30 anni mantiene rapporti con il mondo arabo, ha altresì profondi rapporti anche con alcuni Paesi non arabi, come la Repubblica Islamica dell’Iran e l’Armenia, poiché nei Paesi arabi, esistono numerose comunità arene ormai integrate nel tessuto sociale, e un esempio è il Libano, dove la comunità armena è ben radicata e inserita, e mantiene vive le proprie tradizioni, come la memoria del genocidio, la cui storia ha ancora oggi alcuni risvolti non chiari.
Anche sul grande schermo, il genocidio armeno ha trovato il giusto spazio, come in “Ravished Armenia” di Oscar Apfel girato nel 1919 e difficilmente reperibile oggi, basato sul libro di Aurora Mardiganian, sopravvissuta al massacro in cui morì tutta la famiglia, e che prese anche parte al film come attrice; o “Mayrig” di Henri Verneuil del 1991, seguito da “Ararat” - Il monte dell'Arca”, di Atom Egoyan (2002); il celebre “La masseria delle allodole” dei fratelli Taviani e in particolare “The Promise” di Terry George (2017). Sul piano internazionale, oggi oltre 30 paesi riconoscono ufficialmente il genocidio armeno, anche se alcuni solo per convenienza politica.
Un’epoca di sconvolgimenti
Nello stesso periodo storico, i primi del ‘900, l'Impero Ottomano aveva condotto attacchi simili contro altre etnie (come assiri e greci) e già prima, fra il 1894 e il 1897, c'era stata una campagna contro gli armeni condotta dal sultano ottomano Abdul-Hamid II e per questo definiti “Massacri Hamidiani”, che l’ufficiale venezuelano Rafael De Nogales (volontario nell’esercito turco) ha descritto nelle sue memorie “Quattro anni sotto la Mezzaluna”.
Il motivo era, tanto per cambiare, di natura politica: il governo dei Giovani Turchi al potere prima della Grande Guerra, non poteva tollerare una alleanza fra Russia e Armenia, per cui, a scopo preventivo (non trovarsi serpi in grembo, come si usa dire oggi) diede inizio ai massacri, e oltre 30mila armeni della Cilicia vennero sterminati già nel 1909.
Nel 1914, il governo ottomano emanò una amnistia e rilasciò i criminali dalle carceri, che però diventarono il nucleo di una organizzazione detta “Teskilat-e Mahsusa” (Sezione Speciale), il cui obiettivo era appunto l’eliminazione degli armeni.
Il genocidio vero e proprio fu scatenato dal 1915, in seguito all'approvazione della Legge Tehcir, che autorizzava la deportazione della popolazione armena dell'Impero ottomano, e fu infatti la Sezione Speciale ad essere incaricata di supervisionare i treni. Situazione aggravata poi dal sultano Mohammed V con la proclamazione della Jihad.
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