Ali Ahmed Bakatheer (1910-1969) è stato uno dei più importanti scrittori, poeti e drammaturghi yemeniti del XX secolo. Nato nella città di Seyun, nel governatorato di Hadhramaut, nello Yemen, Bakatheer ha avuto un'influenza significativa nella letteratura araba moderna grazie alla sua vasta produzione letteraria, che spazia dal romanzo alla poesia, fino al teatro.
Bakatheer nacque in una famiglia benestante e dimostrò fin da giovane una forte inclinazione per la letteratura. Dopo aver ricevuto un'istruzione di base nella sua città natale, si trasferì in Indonesia, dove risiedevano alcuni membri della sua famiglia. Durante il soggiorno in Indonesia, Bakatheer fu esposto a diverse influenze culturali e letterarie, che arricchirono la sua visione del mondo.
Nel 1934 si trasferì in Egitto, dove trovò un ambiente culturale e intellettuale vibrante che stimolò il suo talento creativo. In Egitto, studiò presso l'Università del Cairo e si laureò in letteratura inglese. La sua formazione accademica lo portò a tradurre in arabo diverse opere della letteratura inglese, tra cui il dramma shakespeariano, che ebbe una forte influenza sulla sua produzione teatrale, ma fu anche influenzato dal poeta egiziano Ahmed Shawqi, detto “il principe dei poeti”.
Yemen, foto di Sergio Pessolano
Bakatheer trascorse la maggior parte della sua vita in Egitto, dove sviluppò la sua carriera letteraria e si affermò come una delle figure più rilevanti della scena letteraria araba.
La produzione di Ali Ahmed Bakatheer è estremamente variegata e comprende romanzi, opere teatrali, poesie e saggi.
Tra le sue opere più importanti si possono annoverare due romanzi:
"Wa Islamah" (Oh Islam!), un romanzo storico, pubblicato nel 1945, probabilmente la sua opera più celebre. Ambientato durante le crociate, narra la resistenza musulmana contro l'invasione crociata, mettendo in evidenza temi come il patriottismo, la fede e l'unità. Il romanzo è considerato una pietra miliare della narrativa storica araba e fu successivamente adattato in un celebre film egiziano.
"Seraa Fi Al-Mina" (Conflitto al porto), un romanzo che esplora le tensioni sociali e politiche in una città portuale, riflettendo le contraddizioni del mondo arabo moderno.
Nel campo teatrale ha scritto:
"Masra’ Cleopatra" (La tragedia di Cleopatra), una reinterpretazione della celebre storia di Cleopatra, arricchita da una prospettiva storica e psicologica. Mostra l'influenza di Shakespeare nello stile drammaturgico di Bakatheer.
"Harut wa Marut, una delle sue opere teatrali più affascinanti, basata su un racconto coranico, che intreccia temi religiosi, mitologici e sociali.
"Shahrazad", una reinterpretazione moderna del mito di Shahrazad delle "Mille e una notte", con un approccio filosofico e simbolico.
Nel campo della Poesia, l’opera di Bakatheer riflette il suo profondo amore per la cultura araba e la sua consapevolezza delle sfide politiche e sociali affrontate dal mondo arabo. I suoi versi sono caratterizzati da un forte lirismo e da un uso sapiente della lingua araba classica.
Non pubblicò alcuna raccolta di poesie durante la sua vita, e morì con la sua poesia manoscritta o sparsa nei giornali e nelle riviste in cui era solito pubblicarla. Nel 1987, il dottor Muhammad Abu Bakr Hamid ha pubblicato la prima raccolta di poesie di Bakathir, “Fiori di Dio nella poesia dell'infanzia”, che contiene le poesie che Bakathir compose quando viveva nel governatorato di Hadhramaut.
Yemen, foto di Sergio Pessolano
Per quanto riguarda la seconda raccolta di Bakathir, "La magia di Aden e l'orgoglio dello Yemen", è stata pubblicata dalla Biblioteca dei tesori della conoscenza di Jeddah. Include la poesia di Bakathir negli anni 1932-1933, l'anno che trascorse ad Aden dopo aver lasciato Hadhramaut. E una terza raccolta di poesie è "La Saba del Najd e i respiri dell'Hijaz", che compose in Arabia Saudita.
Bakatheer trattò temi universali come la giustizia, la lotta contro l'oppressione, l'identità culturale e l'unità del mondo arabo. Sebbene fosse profondamente radicato nella cultura araba, il suo lavoro è segnato da un'apertura verso influenze globali, in particolare quella della letteratura inglese.
Egli morì al Cairo nel 1969, ma la sua eredità continua a essere celebrata nel mondo arabo.
Le sue opere, tradotte in diverse lingue, hanno contribuito a rafforzare il legame tra letteratura araba e universale. È ricordato non solo come un innovatore della narrativa e del teatro arabo, ma anche come un intellettuale impegnato nella difesa dei valori della sua cultura e nella promozione del dialogo interculturale.
Lo ricordiamo anche per la sua reintepretazione di Giufà, un personaggio tradizionale delle storie popolari del Mediterraneo, particolarmente presente nelle tradizioni orali di Italia meridionale, Sicilia, Maghreb, Medio Oriente e Turchia, una figura ricca di sfumature, che combina l'ingenuo, lo sciocco e l'arguto in una serie di racconti spesso umoristici e paradossali. Le sue storie rappresentano lezioni morali, critiche sociali o semplici divertimenti, sempre arricchiti da un sottile senso di ironia.
Il racconto di Giufà attraversa diverse culture, dall'Oriente all'Occidente, adattandosi e arricchendosi di significati con ogni riscrittura. Questo personaggio emblematico del folklore arabo, conosciuto per la sua ingenuità o astuzia ambivalente, è stato reinterpretato sia dallo scrittore yemenita Ali Ahmed Bakatheer sia dall'italiano Leonardo Sciascia, ognuno adattandolo ai contesti culturali e politici del proprio tempo.
Il personaggio di Giufà popolare nella letteratura araba
Bakatheer e il Giufà anticolonialista
Nelle sue opere teatrali si occupava delle questioni urgenti della nazione, tra le quali riteneva fondamentale quella del colonialismo, perchè era fermamente convinto che il teatro avesse il potere di risvegliare le masse facendole diventare consapevoli delle terribili conse- guenze del colonialismo.
Nella commedia Mismar Juha (Il chiodo di Giufà), egli affronta le questioni legate al colonialismo e del risveglio dei cittadini in modo da volgerli verso posizioni anticolonialiste. Si tratta di una commedia di sei atti, uscita nel 1949, che ha enormente influenzato la mentalità araba nell’Ottocento e nel Novecento, conducendo alla rivoluzione egiziana del 1952, detta Rivoluzioni deli Ufficiali Liberi.
Come afferma il filologo Ahmed Obeadallah nel suo saggio Giufà tra Oriente e Occidente: le riscritture di Ali Ahmed Bakatheer e Leonardo Sciascia «"Mismar Juha" mostra, in modo comico e satirico, il pretesto che il colonizzatore usa per entrare e poi occupare un paese, in questo caso si riferiva al Trattato anglo-egiziano del 1936. L’opera invita gli egiziani ad accorgersi del pretesto che gli inglesi usano per giustificare la loro colonizzazione dell’Egitto ricorrendo ad un aneddoto storico e folclorico che metta in risalto questa questione contemporanea».
Bakatheer trasforma Giufà in un simbolo della resistenza contro il colonialismo attraverso la riscoperta della letteratura araba classica, recuperando personaggi del folclore tradizionale per attizzare la scintilla della resistenza contro l’imperialismo culturale occidentale e al contempo evitare la censura che avrebbe subito se avesse scritto parlando in maniera diretta.
Nella tradizione araba, Juha vende la sua casa a patto che nel muro si mantenga un chiodo che lui possa periodicamente controllare. Chi compra è un credulone che non si accoge dell'inganno, perchè Juha frequenta la casa venduta ogni giorno, infastidendo il nuovo proprietario che finisce per restituirgli la casa senza richiedere indietro il denaro. Ambientata nel contesto della dominazione britannica in Egitto, la storia ruota attorno al simbolico "chiodo", ossia il pretesto per il controllo coloniale.
In questa storia però Juha, Imam di una delle moschee del Kufa, rappresenta l’Egitto ingannato e non il truffatore, ossia è l'eroe che difende la sua libertà, non quello che usa il chiodo per per togliere i diritti agli altri. La tematica più notevole dell’opera è quella della ribellione. L'opera presenta una linea politica, ovvero la lotta di Juha e del popolo egiziano contro il colonizzatore britannico; e una linea sociale, ossia la lotta di Juha contro sua moglie che rifiuta di far sposare sua figlia con l'uomo di cui è innamorata, suo cugino Hammad. L'ambientazione si svolge in Iraq, tra al-Kufa e Bagdad, nel Duecento.
Giufà diventa così una figura eroica, che usa la sua intelligenza per liberare il popolo, invertendo il ruolo tradizionale del personaggio, spesso associato a truffe e ingenuità. La commedia non solo critica il colonialismo, ma celebra la ribellione come mezzo per rivendicare la sovranità e la giustizia.
Sciascia e Giufà come ribelle universale
Il personaggio di Bakatheer, ossia l’uomo che prende in giro l’autorità dominante, torna con l’autore italiano Leonardo Sciascia, affascinato dalle radici arabe della cultura siciliana, che adatta il personaggio di Giufà nella sua raccolta Il mare color del vino. La versione di Sciascia esplora l'ingenuità ribelle di Giufà, che si scontra con le autorità in modo tragicomico.
La novella gioca con il tema della giustizia, sottolineando come la ribellione del protagonista emerga dalla sua mancanza di consapevolezza delle convenzioni sociali, o dalla sua deliberata indifferenza verso di esse.
Nella prefazione di un saggio su Giufà della Professoressa Francesca Maria Corrao, Sciascia fa questa citazione di Calvino:
«Il gran ciclo dello sciocco, anche se non è fiaba, è troppo importante nella narrativa popolare anche italiana perché lo si lasci fuori. Viene dal mondo arabo ed è giusto che scelga a rappresentarlo la Sicilia, che dagli Arabi direttamente deve averlo appreso. L’origine araba è anche nel nome del suo personaggio: Giufà (talora Giucà, anche nei luoghi di dialetto albanese), lo sciocco a cui tutte finiscono per andare bene».
Sciascia pone in risalto anche il fatto che la sciocchezza sia legata al tema della ribellione
«La sciocchezza di Giufà consiste nel non avere coscienza delle sciocchezze che fa, nell'ignorare che le sue azioni, sempre dettate da una specie di demone della letteralità, sono socialmente, rispetto al comune intendere e agire, delle sciocchezze».
Entrambi gli autori attingono al folklore per raccontare storie di resistenza: Bakatheer contro l'oppressione coloniale, Sciascia contro l'arroganza del potere e le rigidità sociali. Il Giufà di Bakatheer è un eroe politico, mentre quello di Sciascia è una figura più complessa, che incarna sia il sovvertimento delle norme che un'accettazione ironica delle conseguenze delle sue azioni.
Il personaggio di Giufà dimostra come il folklore possa essere un terreno fertile per il dialogo interculturale. Sia nelle mani di Bakatheer che di Sciascia, Giufà conserva la sua natura universale: un anti-eroe che con la sua semplicità sfida le autorità, rendendolo un simbolo senza tempo di resistenza contro l'oppressione e l'ingiustizia.
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