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Libia – Terra di interessi fra Russia, Turchia e Italia

Assadakah Roma News - Libia e Ucraina, due Paesi distanti migliaia di chilometri, eppure legati da un destino comune. Nel febbraio 2014, il presidente russo Vladimir Putin lanciò l’operazione militare nel Donbass, dando così inizio all’invasione dell’Ucraina. Pochi mesi dopo, a maggio, il generale Khalifa Haftar, ex ufficiale di Muammar Gheddafi divenuto collaboratore della CIA dopo essere stato catturato in Chad, annunciò l’operazione militare Karama (“Dignità”) sfociata nella seconda guerra civile. Oggi la storia sembra ripetersi: se la guerra in Ucraina è sulle prime pagine di tutti i giornali, la Libia rischia di sprofondare nella violenza nel silenzio generale.

Nelle scorse settimane si è arrivati a un passo dallo scontro armato tra le coalizioni rivali: da una parte il Governo di Unità Nazionale con sede a Tripoli, presieduto dal premier Abdulhamid Dbeibah, riconosciuto dalle Nazioni Unite; dall’altra il Governo di Stabilità Nazionale guidato dall’ex ministro dell’Interno, Fathi Bashagha, sostenuto dal generale Haftar e dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk. Il 10 febbraio, i gruppi armati fedeli a Bashagha sono arrivati alle porte di Tripoli, ma le milizie di Dbeibah gli hanno sbarrato la strada. Solo la mediazione portata avanti da ONU e USA ha convinto il convoglio attaccante di rientrare a Misurata. Fonti libiche hanno riferito all’Agenzia Nova che un faccia a faccia tra i due premier rivali avrebbe dovuto tenersi in Turchia, ma è saltato all’ultimo minuto per l’ostinata volontà di Dbeibah di non condividere il potere.

Dal punto di vista politico, in Libia ci sono almeno tre piani per uscire dalla crisi, tutti in competizione fra loro. Il premier uscente propone elezioni parlamentari entro il mese di giugno e la fine di tutte le istituzioni vigenti (governo incluso). La Camera dei Rappresentanti di Tobruk vuole insediare il nuovo governo Bashagha, redigere una nuova proposta costituzionale ed elezioni presidenziali e parlamentari non prima del 2023. Le Nazioni Unite vogliono spingere il Parlamento e il Consiglio di Stato (il Senato con sede a Tripoli) a formare una commissione congiunta e redigere una base costituzionale entro marzo, quindi andare alle elezioni il prima possibile.

Da parte sua, la Russia mantiene diversi interessi in Libia, tutelati dai mercenari del Gruppo Wagner. Nei giorni scorsi da Kiev era rimbalzata la notizia di un accordo tra il Cremlino e il generale Haftar per l’invio in Ucraina di decine di miliziani fedeli all’uomo forte della Cirenaica, ma non c’è stata alcuna conferma. Altro attore importante in Libia è la Turchia, in questo momento prima mediatrice fra le parti in Ucraina. E nel gioco delle parti, poter far leva sulla presenza di propri contractors per il Cremlino si potrebbe rivelare fondamentale. Paradossalmente, i soldati della Wagner potrebbero essere più funzionali nel Sahara che nel Donbass. In teoria il Cremlino, tra i due governi venutisi a creare, sosterrebbe Bashaga. Ma quest’ultimo, al pari di Ddeibah, ha condannato l’attacco all’Ucraina.

E l’Italia? Difficile non pensare, quando Mosca ha minacciato Roma dopo l’approvazione delle ultime sanzioni, a qualche connessione con interessi italiani in Libia. Il Cremlino ha sempre visto nel nostro Paese un’importante sponda europea per via dei legami culturali ed economici, prima ancora che politici, tra le due parti. Per questo se da un lato Mosca si aspettava le sanzioni italiane per via della scelta europea di provare su questa strada, dall’altro però in Russia non si aspettavano un atteggiamento così duro di Roma. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio non si è limitato a condannare l’azione in Ucraina, ma ha apostrofato pesantemente il presidente russo. La diplomazia del Cremlino più volte nell’ultimo mese è entrata in netto contrasto con quella italiana.

Da qui dunque l’avvertimento di ritorsioni politiche ed economiche lanciato dalla Russia nei confronti del nostro Paese. Mosca ha dalla sua la possibilità di destabilizzare ulteriormente il quadro libico, danneggiando gli interessi italiani. In ambito diplomatico non sono pochi coloro che temono azioni di sabotaggio nei confronti delle infrastrutture del gas, circostanza che aumenterebbe la crisi energetica già in atto in Italia.

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