Assadakah News Agency - A pochi giorni dal devastante sisma in Marocco, il Nord Africa è alle prese con un'altra grave calamità naturale. Un ciclone si è infatti abbattuto sull'est della Libia, colpendo duramente la Cirenaica. La regione cioè controllata militarmente dal generale Khalifa Haftar, lì dove sotto il profilo politico l'amministrazione è affidata a un governo non riconosciuto a livello internazionale e guidato dal premier Osama Hammad.
Il bilancio è molto pesante. Si parla di almeno duemila vittime accertate, ma il numero è destinato purtroppo a salire. Ci sarebbero infatti, secondo le autorità locali, cinquemila dispersi. Molte agenzie libiche parlano della possibilità che il conteggio delle vittime sfori quota diecimila. Un disastro senza precedenti per la Libia, Paese già sconvolto da oltre un decennio di instabilità e di frammentazione politica, sociale e militare.
La perturbazione ha imperversato prima lungo la penisola ellenica, poi si è spostata verso sud. Il passaggio del ciclone sulla Grecia ha ucciso 15 persone e le autorità di Atene contano anche almeno due dispersi. Danni e morti sono stati registrati anche tra Bulgaria e Turchia. Il peggio però non era passato. Dirigendosi verso sud, il Tlc si è ulteriormente rinforzato grazie al contatto con i mari più caldi del Golfo della Sirte.
A partire da sabato, il ciclone ha quindi fatto la sua comparsa in Libia. Quando ha toccato terra nelle aree orientali del Paese nordafricano, i venti hanno sfiorato i 180 km/h. Il pericolo maggiore è però arrivato dalle copiose precipitazioni. Nell'area di Derna, secondo il servizio meteorologico locale, sono caduti 400 mm di pioggia nel giro di poche ore. Una quantità riscontrabile normalmente in due anni da queste parti. Il territorio non ha retto. E proprio Derna è oggi la città simbolo del disastro. Il “Wadi”, ossia il fiume che divide in due il centro urbano, ha invaso ogni cosa. I quartieri a ridosso degli argini sono stati rasi al suolo ed è qui che si teme il bilancio di diecimila vittime.
Considerando che Derna conta ottantamila abitanti, vorrebbe dire che se i numeri fossero confermati almeno un abitante su otto della città sarebbe morto a seguito del passaggio di Daniel. A complicare il quadro, anche se non soprattutto il crollo di due dighe. Circostanza che ha creato delle piene difficilmente controllabili dei fiumi e dei canali della zona, amplificando quindi la distruzione già portata dal vento e dalla pioggia.
Tra i vari media libici e panarabi, adesso ci si chiede se tutto questo poteva essere evitato. Se da un lato la traiettoria del ciclone non era possibile valutarla in modo dettagliato, dall'altra però forse sarebbe stata auspicabile un'evacuazione dei quartieri più fragili di Derna e salvare centinaia di vite umane. C'è poi il discorso relativo al collasso delle dighe, su cui potrebbe aver influito una mancata manutenzione figlia dell'oramai decennale frammentazione politica della Libia.
Oltre alla catastrofe e all'elevato numero di morti, il Paese nordafricano dovrà in futuro fare i conti anche con i danni per la propria economia. Derna, grazie al Wadi e ai suoi corsi d'acqua, ha sviluppato da decenni un'importante tradizione agricola. Circostanza raramente riscontrabile nelle altre parti della Libia, il cui territorio è prevalentemente desertico. Nelle aree colpite dall'alluvione si concentra gran parte della produzione agricola libica. Lo straripamento dei canali ha distrutto molte fattorie e aziende agricole e ha reso inutilizzabili per mesi diversi campi.
Per un Paese costretto a importare quasi tutto dall'estero, non poter usufruire della propria produzione costituisce un autentico salasso. Con conseguente aggravamento delle condizioni dell'economia, già provata dalla guerra, dagli scontri, dall'instabilità e, non ultimo, dal Covid e dalla guerra in Ucraina.
Come è potuta accadere una simile catastrofe? “Cambiamenti climatici e incuria”, riferisce a Il Giornale una fonte diplomatica che si è occupata per anni di Libia. Uno studio dell’Università di Sebha del 2022 aveva riscontrato “un elevato potenziale di rischio di inondazioni” nel Bacino di Wadi Derna, sottolineando che le due dighe costruite negli anni 70 necessitano “di una manutenzione periodica”. Per quale ragione l’allarme è rimasto inascoltato? Probabilmente perché la Libia, dopo la rivoluzione del 2011, è un Paese diviso in coalizioni rivali capeggiate da “tanti piccoli Gheddafi” in lotta tra loro.
A Tripoli c’è il Governo di Unità Nazionale guidato da Abdulhamid Dbeibah, imprenditore e politico di Misurata che avrebbe dovuto rimanere in carica fino alle elezioni (mai tenute) nel 2021. A Bengasi è al potere il Governo di stabilità nazionale, esecutivo sostenuto dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e controllato “de facto” dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica al comando dell’Esercito nazionale libico. E poi ci sono “i verdi”, i gheddafiani sempre presenti nello “Stato profondo” tanto ad est quanto ad ovest e soprattutto nel sud. In poche parole, la Libia di oggi è un Paese profondamente diviso e fragile, nonostante (o forse proprio a causa) le ingenti risorse naturali presenti nel sottosuolo: petrolio, gas ma anche oro. Questo pone un dilemma di non poco: chi gestirà gli aiuti internazionali (con l’Italia in prima linea) per la ricostruzione?
A essere colpita, come detto, è stata soprattutto Derna. Una zona tanto ricca, non ci sono infatti solo risorse agricole ma anche molte risorse petrolifere, quanto sfortunata. La città si stava riprendendo da una scia di morte e distruzione. Nel 2016 era stata occupata dallo Stato islamico, poi dalle milizie islamiste legate alla Fratellanza musulmana e infine è stata assediata, bombardata e “liberata” dalle forze del generale Haftar. Lo strapotere delle milizie e il lungo periodo di instabilità politica hanno messo a dura prova la popolazione di Derna, un tempo città d’arte, di teatri e di cantanti. Oggi è una città fantasma che rischia di risorgere più. "Il 25% della città non c'è più - è la drammatica testimonianza resa a Il Giornale da Faraj Aljarih, giornalista di Fawasel Media - per strada tanti corpi ancora in fase di identificazione. Si calcola che al momento gli sfollati siano almeno 25mila".
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