(Agenzia Nova) - Il miglioramento delle relazioni tra Egitto e Turchia potrebbe avere un primo, importante e tangibile impatto in Libia. I ministri degli Esteri dei due Paesi del Mediterraneo, l’egiziano Sameh Shoukry e il turco Mevlut Cavusoglu, si sono incontrati ieri ad Ankara per aprire “una nuova pagina nelle relazioni” bilaterali. E uno dei temi al centro del colloquio è stata, appunto, la crisi in Libia. Per anni, Ankara e Il Cairo hanno sostenuto coalizioni politiche e militari opposte: i turchi in Tripolitania (ovest) e gli egiziani in Cirenaica (est). Ieri, Cavusoglu ha detto che la rinnovata cooperazione tra Turchia ed Egitto apre addirittura la possibilità di addestrare congiuntamente l’Esercito libico, dopo una sua eventuale e futura riunificazione. “Siamo d’accordo sul fatto che non siamo rivali in Libia e che dovremmo lavorare insieme per la stabilità della Libia”, ha detto il capo della diplomazia turca. Il ministro egiziano, da parte sua, ha parlato di un “desiderio comune di lavorare con le istituzioni libiche e adempiere alle loro responsabilità per tenere elezioni libere ed eque, al fine di formare un governo che esprima la volontà del popolo libico”.
L’incontro tra i capi della diplomazia di Turchia ed Egitto si è tenuto in concomitanza con l’importante riunione del generale Mohamed al Haddad, capo di Stato maggiore delle forze militari affiliate al Governo di unità nazionale della Libia (Gun) con sede a Tripoli, con il generale Abdelrazek al Nadori, comandante designato dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) che fa capo al “feldmaresciallo” libico Khalifa Haftar, tenuta ieri sera a Bengasi, alla presenza dei membri del Comitato militare congiunto 5+5, composto da cinque alti ufficiali dell’est e altrettanti dell’ovest. Secondo l’emittente panaraba di proprietà saudita “Al Arabiya”, nella riunione di Bengasi è stata discussa anche la formazione di una forza congiunta per garantire le elezioni e i confini del Paese e di una forza comune che faccia da “nucleo” per unificare l’establishment militare. Già lo scorso 17 marzo, “Agenzia Nova” aveva riferito della possibile creazione di una forza congiunta divisa in tre battaglioni – ciascuno in rappresentanza della Tripolitania (ovest), Cirenaica (est) e Fezzan (sud) – per intervenire nelle regioni meridionali, con un comandante che dipenda dai due capi di Stato maggiore.
Emadeddine Badi, analista libico del Global Initiative Against Transnational Organized Crime, organizzazione internazionale non governativa con sede a Ginevra, prevede che l’incontro tra i ministri degli Esteri di Turchia ed Egitto (e più ampi riallineamenti turco-egiziani) “avrà effetto a catena sulle dinamiche di transizione in Libia, in particolare perché il percorso politico sponsorizzato dalle Nazioni Unite manca di qualsiasi sostanza o direzione significativa nella congiuntura attuale”. Secondo Mario Savina, curatore della newsletter dell’Associazione degli italiani rimpatriati dalla Libia (Airl) e dottorando in Storia e Culture dell’Europa presso l’ Università “La Sapienza” di Roma, “il miglioramento delle relazioni tra questi due Paesi è al momento l’unico processo che possa portare benefici alla Libia”. Un avvicinamento, quello tra Ankara e Il Cairo, a cui ha lavorato a lungo anche l’Italia. In diverse occasioni, infatti, il vice presidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, ha detto che “per risolvere la crisi in Libia è necessario mettere attorno allo stesso tavolo Turchia ed Egitto, coinvolgendo anche Qatar ed Emirati Arabi Uniti”.
Da circa un anno la Libia è spaccata tra due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalle Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale guidato dal premier designato Fathi Bashagha, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, sostenuto inizialmente da Egitto e Russia ma ormai sempre più abbandonato a sé stesso. A detenere il potere nella Libia orientale è infatti il generale Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu Abdoulaye Bathily ha lanciato, il 27 febbraio, un piano per l’istituzione di un nuovo “Comitato di alto livello” che dovrà includere i principali “stakeholder” libici per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, la nuova iniziativa presentata dall’inviato delle Nazioni Unite, accolta con freddezza a Tripoli e a Bengasi, non sembra prendere slancio. Nel Paese vige al momento una stabilità parziale, basata su un implicito accordo “clanico” tra due potenti famiglie: i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est).
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