(Jean Claude Martini/"Il Tazebao") - È di pochi giorni fa la notizia che, ai colloqui di Ginevra svoltisi tra l’ONU (rappresentata in realtà da una rappresentante del governo americano, Stephanie Williams), Aguilah Saleh e Khalid al-Mishri, rispettivamente presidente del parlamento libico e presidente del cosiddetto “Alto Consiglio di Stato” (organo mai votato e imposto dall’ONU stessa nel 2015 per contrastare l’autorità del parlamento di Tripoli), è stata sancito tra le altre cose il divieto di candidatura per Saif al-Islam Gheddafi. Appena un paio di giorni fa, nella città nord-orientale di Tobruk sono scoppiati disordini in seno alla popolazione civile che hanno portato all’incendio del palazzo del Parlamento, tuttavia chiuso per festività. Proteste analoghe si sono avute anche a Tripoli, Misurata, Bengasi e Sebha. Sarebbe tuttavia erroneo pensare che queste proteste siano state motivate unicamente dalla decisione di escludere il figlio di Gheddafi dalla competizione elettorale, anche se sicuramente il peso delle ingerenze straniere negli affari interni della Libia si è fatto sentire palesemente ancora una volta, aggiungendosi al rincaro del prezzo del pane, al deterioramento del sistema di fornitura di energia elettrica e al continuo rinvio sine die delle consultazioni elettorali che dovevano tenersi il 24 dicembre 2021, ragioni principali alla base dello scoppio del malcontento popolare adesso come già nel 2019 e nel 2020.
A proposito di ingerenze straniere, è passata sotto silenzio, sui circuiti mediatici mainstream, l’attracco al porto di Tripoli della nave militare italiana San Giorgio, la quale recava con sé una centrale mobile per il coordinamento del soccorso marittimo da consegnare al governo tripolino. Era il periodo in cui era in gioco proprio la candidatura di Saif al-Islam, tra bocciature, ricorsi e attentati alla Commissione elettorale libica, candidatura che gli stessi sondaggi ufficiali davano per vittoriosa al primo turno addirittura con l’84% (sfidanti il presidente uscente Dabaiba, sostenuto dai turchi, e il generale Khalifa Haftar supportato da russi, egiziani ed emiri arabi).
L’ultimo processo elettorale svoltosi in terra libica risale alle elezioni locali dilazionate tra il 2019 e il 2021 in venti municipalità (su 68 originariamente pianificate dalla Commissione centrale delle elezioni comunali), con gli elettori divisi in quattro gruppi, l’ultimo dei quali non ha votato per la campagna militare di Haftar in Cirenaica: negli altri tre, l’affluenza si è attestata tra il 37% e il 42%. Le ultime elezioni a livello nazionale, invece, si sono svolte nel 2014 per l’elezione dell’Assemblea Costituente, con poco più di 1 milione di elettori registrati via SMS, e per l’elezione del Parlamento, con un’affluenza del 18%. La nuova tornata era stata prevista per quest’anno, ma anch’essa sta seguendo la stessa sorte delle presidenziali quanto a rinvii a data da destinarsi: per ora la deadline è stata fissata entro dicembre.
L’accordo per la formazione del governo Bashagha a febbraio ha fatto sperare alcuni in una pacificazione tra le due anime politiche della Libia post-2011: Bashagha era infatti uno dei pilastri della Fratellanza Musulmana (filoturca); verso la fine del 2021, si è recato a Bengasi per incontrare Haftar, capo dell’Esercito Nazionale Libico, che con l’operazione militare del 2019 puntava proprio a sterminare i Fratelli Musulmani. Peraltro, le milizie che nel 2014 impedirono l’insediamento del governo tripolino erano proprio quelle di Bashagha. Questa svolta a 180 gradi è stata determinata dalle mosse del presidente turco Erdoğan che cerca di non perdere la sua sfera d’influenza in Libia. Ciò ha determinato una grossa frattura in seno alla NATO e un duro colpo per USA e UE nella zona. Transeat, per pietà, sulla posizione dell’Italia.
Tale contesto, alleggerendo la pressione dei molti attori stranieri in Libia (i russi parrebbero essersi almeno momentaneamente disinteressati, stornatosi il grosso del gruppo Wagner verso l’Ucraina), avrebbe teoricamente creato le migliori condizioni per il rientro sulla scena di Saif Gheddafi e la concretizzazione finale della sua vittoria. Probabilmente il periodo di instabilità, violenze e illegalità istituzionali potrà contribuire a rafforzare ulteriormente i consensi del figlio del fu Colonnello a fronte di candidati dal carisma e dalla storia personale e politica non notevoli come i suoi: del resto, ai tempi della Jamahiriya, egli era tutt’altro che una figura di second’ordine, essendo stato fondatore e presidente della Gaddafi International Foundation for Charity Association (la quale svolse un ruolo di primo piano nel salvataggio degli ostaggi di Sipadan nel 2000), dell’Associazione nazionale libica per il controllo delle droghe e dei narcotici, della televisione privata Al-Libiya (prima della sua chiusura nel 2009) e dirigente del settore delle telecomunicazioni della Jamahiriya. Considerato per tutti gli anni 2000 come una figura riformista, per via dei suoi progetti politico-economici volti ad aprire la Libia ai capitali occidentali e a reinserirla nella comunità internazionale dopo anni di tensioni e sanzioni, egli si schierò al fianco del padre e del governo in occasione dello scoppio dei disordini del febbraio 2011.
Nonostante non parli apertamente di restaurare la Jamahiriya, con tutto il corredo dei comitati e dei congressi popolari, l’agenda politico-economica sua e del suo Fronte Popolare per la Liberazione della Libia (che va ad affiancarsi al Movimento Popolare Nazionale Libico che esiste dal 2012) può essere definita come assolutamente fedele alle idee e alla prassi di Gheddafi padre: espulsione delle forze straniere a cominciare dagli Stati Uniti e dalla NATO, unificazione dei territori e delle istituzioni, riconquista dell’indipendenza e della sovranità, centralizzazione economica e laicizzazione dello Stato, oltre naturalmente a un’indagine sulle cause della guerra e sui crimini contro l’umanità commessi in quel periodo.
Cosa accadrà nel prossimo periodo, nessuno può dirlo. Ma quel che è certo è che la presa dell’Occidente sulla Libia va gradualmente allentandosi in una partita che, per esso, appare sempre più persa ogni giorno che passa.
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