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Immagine del redattoreRoberto Roggero

Libia - Il fattore Saif Gheddafi

Roberto Roggero* - Mentre i responsabili dell’intelligence militare dei Paesi confinanti con la Libia, hanno concluso a Tripoli la prima conferenza di cooperazione, convocata su un’iniziativa libica (con la partecipazione di Tunisia, Algeria, Sudan, Chad e Niger), ed è stato annunciato un imminente incontro fra i presidenti libico Mohamed Menfi, l’algerino Abdelmadjid Tebboune e il tunisino Kais Saied, anche in Libia arrivano gli echi della rivolta siriana che ha portato alla cacciata del dittatore Assad, ed evidenzia la situazione da tempo in stallo, cioè dalla morte di Muammar Gheddafi nel 2011. Da quel momento la Libia non ha trovato pace, fino a dividersi in due parti con due governi, quello di Tripoli guidato dal premier Abdulhamid Dbeibah e riconosciuto ufficialmente, e quello di Tobruch, del generale Khalifa Haftar.

E’ un fatto accertato che il governo di Tripoli sia sostenuto in tutto e per tutto dalla Turchia, con contributi economici, uomini e mezzi, e che abbia concluso un accordo con i capi delle milizie tribali, che permettono una sorta di controllo centralizzato.

Di contro, l’esecutivo di Haftar è sostenuto dalla Russia, con reparti paramilitari, e anche da Francia ed Egitto. Quindi Tripolitania e Cirenaica da una parte, e la grande regione del Fezzan dove non vi è alcun controllo né legge ma l’autorità indiscussa con i capi tribali beduini, che scelgono un governo o l’altro a seconda delle proprie necessità e controllano ogni traffico da e per il sud, collegati al confine con la Guinea-Bissau. Ed è proprio dal sud della Libia che si riaffaccia alla ribalta Saif Al-Islam El Gheddafi, secondogenito dell’ex rais, personaggio molto discusso per essersi dimostrato spietato nella difesa del padre durante la guerra civile, e oggi volto democratico della nuova Libia.

Alla morte del colonnello, Saif Gheddafi era stato arrestato dalle milizie Zintan mentre si dirigeva in Niger, e portato a Tripoli per il processo, nel quale è stato condannato a morte nel 2015, ma la sentenza non è stata eseguita perché, nel frattempo, le formazioni armate Zintan hanno troncato ogni rapporto con il governo di Tripoli e stretto accordi con la parte rivale.

Con un mandato della Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità sulla testa, Saif Al-Islam El-Gheddafi non aveva dato notizie per cinque anni, protetto dai clan tribali ex alleati del padre. Nel 2021 era riapparso in pubblico, candidandosi alle elezioni presidenziali, che non si sono mai tenute, mentre il premier di Tripoli, Dbeibah, rifiuta di lasciare anche dopo la scadenza e la sfiducia della Camera dei Rappresentanti di Tobruch, che prova anche con la forza a marciare su Tripoli, ma senza risultati.

In questa situazione Saif al-Gheddafi si è mosso per guadagnare consensi, e diversi sondaggi lo avevano anche presentato come possibile candidato forte, che avrebbe conquistato abbastanza voti per arrivare al ballottaggio.

Per arrivare alle elezioni, nel febbraio 2023 l’ONU ha proposto un progetto costituzionale e leggi elettorali necessarie, ma nulla di fatto, e ancora oggi sono in corso complicate trattative per istituire un governo tecnico e organizzare le elezioni. Di fatto, i padroni del Paese rimangono le milizie, sia a Tripoli che a Tobruch, e l’ONU sembra non essere in grado di risolvere il problema.

Sono state le elezioni amministrative dello scorso novembre che hanno riportato all’attenzione il fattore Saif Al-Islam El-Gheddafi, che si è dichiarato vincitore in molte città della Libia meridionale. Un’affluenza del 75% aveva sottolineato l’insofferenza della comunità libica alle difficoltà e all’incertezza sul futuro del Paese, che manca di stabilità da 13 anni. Un elemento che potrebbe destabilizzare ulteriormente la situazione, in contesto estremamente complesso come quello libico.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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