Assadakah News – Si allontana la possibilità di dare alla Libia le prime elezioni democratiche dall’era Gheddafi, che erano fissate al 24 dicembre, e nuovamente rinviate, a causa della instabilità soprattutto dovuta alla iniziativa della Brigata Al-Samoud, che ha circondato il palazzo del governo e la sede del primo ministro. Le autorità politiche sono state condotte in sicurezza ma in città la situazione è ad alta tensione. "Non ci saranno elezioni presidenziali in Libia", ha subito ammonito il leader della Brigata Al-Samoud, Salah Badi, che dal 2018 è nella lista nera del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Il casus belli della mobilitazione armata sarebbe la recente sostituzione del comandante del distretto militare di Tripoli. I signori della guerra, insomma, continuano a contendersi il potere, ignorando le vie democratiche definite a livello internazionale.
I problemi nell’organizzazione delle elezioni si accumulavano da mesi, soprattutto riguardo ai criteri di selezione dei candidati per la presidenza. Negli ultimi mesi si erano presentati quasi 100 candidati, i più importanti dei quali avevano tutti caratteristiche considerate problematiche, controverse o per qualche motivo preoccupanti.
C’era Abdul Hamid Dbeibah, il primo ministro ad interim, che quando fu nominato con l’approvazione della comunità internazionale promise che non avrebbe partecipato alle elezioni per la presidenza. Poi aveva cambiato idea, e aveva fatto ricorso in tribunale per certificare che la sua promessa fosse soltanto morale, e non avesse forza legale. La commissione elettorale aveva accettato la sua candidatura, ma vari suoi rivali avevano fatto ricorso. Si era candidato anche il maresciallo Khalifa Haftar, che fino a qualche mese fa era a capo delle milizie che avevano tentato di conquistare Tripoli nel tentativo di prendere il controllo di tutto il paese. Un altro candidato, forse il più controverso, era Saif Gheddafi, figlio dell’ex presidente deposto Muammar Gheddafi: nel 2015 Saif era stato giudicato colpevole di crimini di guerra e condannato a morte, poi però aveva ricevuto un’amnistia.
Per ciascuno di questi candidati, e per diversi altri, erano stati presentati ricorsi in tribunale, molti dei quali non sono stati ancora esaminati: è anche per questo che la commissione elettorale libica non ha mai approvato la lista ufficiale e definitiva dei candidati.
Le questioni giudiziarie non sono state le uniche a rendere impraticabile il voto. A differenza di quanto sperava l’ONU, assai impegnata nel processo di pace libico, negli ultimi mesi non era riuscito il processo di progressivo smantellamento (o almeno di depotenziamento) delle milizie impegnate in Libia, che oltre a essere bene armate sono ancora estremamente influenti dal punto di vista politico. Martedì, per esempio, mentre molti dei candidati presidenziali si stavano incontrando nella città di Bengasi per discutere del processo elettorale, diversi gruppi armati rivali si sono mobilitati a Tripoli, la capitale, bloccando strade e facendo temere l’inizio di nuovi scontri.
Non è chiaro cosa succederà ora, a quando verranno rimandate le elezioni o come si risolveranno i moltissimi problemi legati alla loro organizzazione. Diversi analisti temono che il rinvio del voto, e le tensioni tra milizie nemiche, possano portare a una crisi simile a quella che si produsse con le elezioni del 2014, quando la Libia si divise tra fazioni legate a due governi diversi, uno a est e uno a ovest, che iniziarono a combattersi in una sanguinosa guerra civile durata anni.
L'ONU si sta impegnando da tempo per garantire il passaggio democratico, ma il punto cruciale, quello su cui neanche l'Alta Commissione elettorale libica sembra in grado di trovare una soluzione, è lo scontro tra i principali candidati che si stanno ostacolando a suon di ricorsi incrociati. Senza rinunciare alla minaccia delle milizie armate di cui ancora dispongono sul territorio e che potrebbero entrare in azione (in alcune aree lo hanno già fatto prima di mercoledì) qualora il verdetto elettorale non venisse riconosciuto da tutti.
In Libia sono ancora presenti miliziani turchi e siriani, nonché i mercenari del gruppo russo Wagner schierati con Khalifa Haftar, già a capo dell'esercito che aveva assediato Tripoli, e ora in gara per la presidenza: la Commissione ha accettato la sua candidatura ma sono pendenti numerosi ricorsi. Lo stesso vale per Saif Gheddafi, figlio dell'ex dittatore, che nel 2015 era stato condannato per crimini di guerra e poi amnistiato. La sua candidatura, inizialmente respinta, è stata accolta dopo un ricorso, ma i suoi avversari l'hanno impugnata.
Tra i principali sfidanti c'è anche Abdul Hamid Dbeibah, il primo ministro ad interim che quando fu nominato sotto l'egida della comunità internazionale aveva promesso di non partecipare alle elezioni, salvo poi tornare sui suoi passi e incappare anche lui in una pioggia di ricorsi. Il risultato, insomma, è che, con o senza assalti armati, a pochi giorni dal voto la Commissione non è in grado di annunciare i candidati ufficiali.
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