Assadakah Roma News - Le esportazioni petrolifere della Libia scendono ai livelli più bassi dall’ottobre del 2020. Le cause principali sembrano essere le proteste dei lavoratori di alcuni terminal marittimi, ma il problema rimane a monte, ovvero gli scontri armati fra le diverse fazioni in campo e i danneggiamenti di silos per lo stoccaggio del greggio.
Nello scorso mese di aprile, le esportazioni di petrolio dalla Libia corrispondevano a 820mila barili al giorno, in diminuzione rispetto al marzo precedente, quando il livello era di 980mila barili, soprattutto verso i principali Paesi importatori, Cina, Spagna e Italia.
E’ ben noto che i ricavi della vendita di petrolio siano essenziali e decisivi per economia della Libia, che è Paese membro dell’Organizzazione dei Paesi Produttori (OPEC), ma gli equilibri economici legati alla raffinazione e alla esportazione non hanno ancora trovato un bilanciamento dal 2011, anno in cui la guerra civile ha decretato la caduta del regime di Muhammar Gheddafi. Da allora, e ancora attualmente, la Libia è percossa da agitazioni e dissidi interni, combattimenti e rivalità tra le opposte fazioni e in particolare dalle proteste popolari contro il premier Abdul Hamir Dbeibah che rifiuta le dimissioni e accusa il Parlamenti di avere irregolarmente nominato premier l’ex ministro dell’Interno di Fathi Bashagha.
La National Oil Corporation (NOC), società petrolifera statale, ha annunciato la riapertura temporanea del porto di Zueitina, nell’Est del Paese, con la successiva autorizzazione alla ripresa dell’imbarco del petrolio per le esportazioni, con lo scopo di favorire lo svuotamento delle cisterne ed evitare così una “catastrofe ambientale”, che si creerebbe con la fuoriuscita del greggio. Gli scontri armati hanno infatti danneggiato le strutture petrolifere in molte località, fra le quali il terminal di Zawiya. La NOC e il ministro del Petrolio, Mohammed Oun, hanno inoltre annunciato che sta procedendo alla riattivazione dell’estrazione per quanto riguarda i giacimenti di Rimal e Abu Attifil, dai quali il greggio deve raggiungere il terminal portuale di Zueitina e deve essere costantemente mescolato per non congelare, dal momento che è molto ceroso. Altre manifestazioni di protesta si sono avute presso i giacimenti di El Feel e Sharara, contribuendo al calo della produzione di ben 800mila barili, scendo a poco meno di 1,3 milioni, con una conseguente diminuzione dei guadagni netti di circa 60 milioni di dollari al giorno.
Dagli USA, interessati ad aumentare la disponibilità di petrolio sul mercato per favorire l’abbassamento dei prezzi dei carburanti, giunge la richiesta di immediata riapertura dei pozzi e dei terminal di esportazione libici, e la proposta di un nuovo e ambizioso finanziamento per cercare di separare le entrate degli idrocarburi dalla politica.
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