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Libia - A Ginevra niente accordo, manifestazioni popolari in molte città

Assadakah Roma News – Dopo le proteste scoppiate il venerdi di preghiera nella città di Tobruk, oggi è tornata la calma, ma la brace è ardente sotto la cenere.

Il venerdì di protesta ha lasciato molte ombre e fantasmi oltre a macerie, copertoni bruciati, il palazzo del parlamento a Tobruk dato alle fiamme, decine di arresti, diversi feriti e 3 morti non confermati. Le proteste stavano montando già in diverse città da diversi giorni, accresciute dalle interruzioni del sistema di distribuzione di energia elettrica, che si sono protratte fino a oltre le 14 ore al giorno in un momento dell’anno con temperature che toccano anche i 50°.

Sempre nella giornata di venerdi, è stata diffusa la notizia, che ha esacerbato gli animi, del fallimento dei colloqui di Ginevra fra i rappresentanti del Parlamento libico e il Consiglio di Stato. I negoziati, supervisionati da Stephanie Williams, funzionaria americana dell’UNSMIL, la missione ONU in Libia, che per il 94% della popolazione dovrebbe smettere subito di occuparsi della Libia. Pertanto l’esigenza di mettere mano alla costituzione nasce da un obiettivo americano preciso: escludere Saif Gheddafi, dato favorito, dalle prossime elezioni.


Il gioco è semplice. Si coinvolge il parlamento libico, unico organo legittimo votato dal popolo nel 2014, il quale non sente nessuna esigenza di riformare la costituzione. Gli si affianca un organo come l’Alto Consiglio di Stato, istituito dalle Nazioni Unite nel 2015 e privo di consenso popolare, facendo di fatto le funzioni di una sorta di camera del protettorato, che riferisce il programma americano secondo cui sarebbe necessario modificare diverse leggi.

Si fa dire all’Alto Consiglio di stato che ci sono divergenze, che bisogna discutere, modificare e, attraverso una pressione costante, alla fine il Parlamento ha ceduto al volere di Washington, secondo cui sarà vietato al figlio dell’ex rais di candidarsi alle elezioni, ma senza una firma che ratifichi l’accordo. Di conseguenza, tutto azzerato, con il risultato che, di fronte alla comunità internazionale, la figura dei piantagrane la fanno i libici, solo perché pretendono di decidere autonomamente il proprio futuro, e le elezioni non sono ancora state fissate, mentre si litiga sempre di più per le concessioni petrolifere, con i giacimenti chiusi.

Il premier Dbeibah aveva avvertito che nel territorio di Tripoli, ogni manifestazione di protesta sarebbe stata “scoraggiata” per questioni di sicurezza, mentre nel resto del Paese la situazione è rapidamente degenerata, poi anche nella capitale sono iniziate le manifestazioni, portate avanti dal gruppo “Bel Tress”, di cui si conosce molto poco. Non è passato molto tempo che le proteste dsi sono allargate a Bengasi, Misurata e Tobruk.

I manifestanti hanno bloccato le strade principali e gli ingressi di diverse città e regioni, con barricate e pneumatici dati alle fiamme, chiedendo al governo di Tripoli di dimettersi immediatamente e di sciogliere tutti gli organi politici.

Si teme che tra i manifestanti siano presenti infiltrati e agitatori, mentre i cortei popolari si trovano di fronte a formazioni armate della polizia, che nella capitale ha circondato piazza Shuhada da tutte le strade principali. Dalla piazza i manifestanti si sono spostati in altre parti della città, fino al palazzo del governo di Tariq Siqqa, scandendo altri slogan contro Dabaiba: "Dov'è il nostro denaro, ladro? Dov'è l'elettricità, corrotto?”. Espongono cartelli con le foto di Dabaiba a suo volto barrato da una croce rossa, insieme a quello di Bashagha e Haftar. UN segno inequivocabile che la popolazione è stanca di lotte intestine e che sente di non essere più rappresentata da nessuno dei due governi.

Dabaiba dichiara di capire le ragioni dei manifestanti e di essere pronto a fare un passo indietro se lo stesso viene fatto dal Parlamento libico, in uno scenario di stallo fra un governo illegittimo e uno legittimo. Un problema la cui soluzione sarebbe la rimozione dell’organismo illegittimo, che però potrebbe causare una escalation incontrollabile.

Ciò che veramente pare smisurato rispetto al senso degli eventi è il rogo del palazzo del parlamento a Tobruk. Va ricordato che il parlamento libico risiede a Tobruk, perché dal 2014, quando si tennero le ultime elezioni, non fu mai concesso ai deputati eletti di insediarsi nella capitale, in quanto non rappresentavano i desideri delle milizie, della mafia locale e in particolare della NATO e degli USA.

I resoconti di ieri da Tobruk riportano che decine di manifestanti si siano avvicinati al palazzo e si siano confrontati con le guardie presenti finché hanno dato l’assalto, incendiando i documenti presenti all’interno e dando fuoco al palazzo.

I negoziati di Ginevra sono a un punto morto, sciogliere il Parlamento, il Consiglio Consultivo e Presidenziale e il GNU (Governo di Accordo Nazionale, quello di Tripoli) è stata una proposta americana di un mese o due fa. Stati Uniti, Gran Bretagna, e altri governi occidentali voglio il gas e il petrolio, l'Unione Europea è in grave crisi energetica, mentre i pozzi libici rimangono chiusi. Ancora una volta, la rabbia della popolazione è reale, provocata da uno stallo politico causato dall’interferenza straniera. E la domanda resta la stessa: “cui prodest?”.

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