Patrizia Boi (Assadak News) - Nel corso dei Festeggiamenti del Santo Patrono Marun abbiamo incontrato molti personaggi di spicco del mondo maronita, tra i quali Victor Trad, Rappresentante della Fondazione Maronita Mondiale in Italia e che è un profondo conoscitore del legame spirituale dei libanesi con il Santo Patrono Marun.
Papa Francesco ringrazia la Fondazione Maronita libanese
In Libano, inoltre, il Presidente della Repubblica deve essere un cristiano maronita. Questa disposizione deriva dal Patto Nazionale del 1943, un accordo non scritto tra i leader cristiani e musulmani del paese che stabilisce la suddivisione settaria delle cariche istituzionali principali:
Il Presidente della Repubblica deve essere un cristiano maronita.
Il Primo Ministro deve essere un musulmano sunnita.
Il Presidente del Parlamento deve essere un musulmano sciita.
Questo sistema, basato sulla rappresentanza confessionale, è stato concepito per garantire un equilibrio tra le diverse comunità religiose del Libano e ci consente di poter abbracciare in questa intervista argomenti inerenti anche la formazione del Nuovo Governo Libanese.
Rammentiamo che la diaspora maronita rappresenta una delle comunità cristiane più radicate e diffuse al di fuori del Medio Oriente, con una presenza significativa in diverse parti del mondo, dall’America Latina all’Europa, dagli Stati Uniti all’Australia.
Originaria della regione del Levante, la Chiesa maronita, che prende il nome da San Marone, ha mantenuto nel tempo una forte identità religiosa e culturale, rimanendo saldamente legata alle sue radici libanesi. In Italia, la comunità maronita ha una lunga storia, favorita dagli storici rapporti tra il Libano e il Vaticano e dalla vicinanza culturale con il cattolicesimo romano.
La comunità maronita a Roma il giorno della Festa del Patrono
Oggi, i maroniti in Italia sono organizzati in parrocchie e centri di aggregazione, con il supporto della Chiesa e delle istituzioni ecclesiastiche, mantenendo vive le tradizioni liturgiche e spirituali della loro fede.
La figura indipendente di Victor Trad ci ha svelato l’essenza di questo mondo.
Domenica lei ha partecipato alle celebrazioni del Santo Patrono dei Maroniti, San Marone, in una cerimonia permeata di spiritualità. Che importanza viene attribuita dai libanesi a questo santo?
«San Marun, per noi libanesi, è un santo protettore dell'unica comunità libanese che si è sviluppata nel mondo. Attualmente esiste una comunità internazionale con vescovi, strutture ecclesiastiche e tutto il resto. Si tratta di una comunità cattolica legata al Vaticano, fondata da questo eremita, San Marone, che prima visse in Siria, poi si trasferì sulle montagne del Libano, creando questa comunità che nel tempo è diventata quella che conosciamo oggi.
La celebrazione di oggi è molto sentita da noi libanesi, perché è la Festa del Patrono. È ancora legata alla tradizione, come si è potuto vedere nel rito della messa. C'è stata una parte centrale della celebrazione in cui si è parlato in aramaico, la lingua originale di Gesù. Non è tutto in arabo. Si tratta della stessa messa del rito latino, trasformata in arabo, con un tono leggermente bizantino. Essendo nel mondo arabo, è collegata alle altre comunità presenti, attraverso il canto, che può sembrare bizantino ma è tipicamente maronita».
La Festa del Patrono a Roma
Quanto è importante questa religione nel legame tra i popoli di Libano, Siria, Palestina e Giordania?
«Esiste una convivenza e un dialogo religioso tra questi Stati, tra queste nazioni, che probabilmente in Libano si percepisce come una tolleranza verso la diversità. La comunità maronita in Medio Oriente è la più grande comunità cristiana ancora legata alle sue radici. Se consideriamo che in Iraq, Siria e Giordania c’era una significativa presenza cristiana, parliamo di decine di milioni di persone che nel tempo sono emigrate. L’unica comunità rimasta è quella maronita, e per Costituzione il Presidente della Repubblica libanese deve essere un cristiano maronita. È l'unico paese arabo in cui il presidente è cristiano. Questa è l'importanza della religione e della comunità maronita, che oggi rappresenta un punto di riferimento per tutte le comunità cristiane del Medio Oriente.
In tutto il Medio Oriente, dove i cristiani sono perseguitati, dove c’è fanatismo religioso, dove sono in difficoltà, quando riescono a fuggire trovano rifugio in Libano, perché la comunità maronita li accoglie. E questa è l'importanza della comunità maronita nell'area mediorientale».
Riusciremo a mantenere la pace per un po’ di tempo? Questo 'cessate il fuoco' durerà? Come percepisce questa situazione?
«Guardi, sono molto positivo. Credo che sia il momento giusto per raggiungere la pace in Medio Oriente. Penso che si sia arrivati al limite. Nessuno sopporta più la morte e il sangue, nemmeno Israele e Palestina. Credo che questa volta, con il sostegno della comunità internazionale, sia in Libano, sia in Israele e in Palestina, si riuscirà a gettare le basi per costruire una pace futura».
Lo spero anch’io. Vuole dirmi qualcosa riguardo al nuovo Governo che si è appena formato in Libano? Si possono già fare delle considerazioni?
«Guardi, farei una considerazione: sono passati due anni da quando il Parlamento libanese era bloccato. Il Presidente del Parlamento non voleva tenere le Elezioni perché, in quel periodo, Hezbollah era armato e aveva preso il controllo del Libano. Così, un paese che era stato un esempio per il Medio Oriente, è diventato un paese che non assomiglia affatto a quello che conoscevamo.
Ora, con il cambiamento radicale in corso, con la guerra in corso, dove Hezbollah ha perso molti uomini e gran parte del suo potere, e con il cambiamento anche in Siria, poiché il regime di Assad ha sempre sostenuto tutte le fazioni militari antiamericane della regione, questo cambiamento ha reso possibile eleggere un Presidente, un Governo e un Presidente del Consiglio. Spero che questa volta, essendo personalità di alta importanza culturale e professionale, possano riuscire a fare qualcosa di buono».
E invece, per quanto riguarda la situazione in Siria, come la vede? A parte il cambiamento, pensa che si riuscirà a mantenere la pace anche in quel paese?
«Al momento possiamo solo ascoltare cosa dice l'attuale Presidente, Al-Julani. Abbiamo visto cosa è successo quando sono entrati nelle prigioni, abbiamo visto le torture che venivano inflitte sotto Assad. Possiamo dire che abbiamo fatto un passo avanti.
Chiaramente, l’ambiente da cui provengono queste persone è piuttosto fanatico, nel senso che sono islamisti. Al momento, Al-Julani ha promesso al mondo intero, è andato anche in Arabia Saudita, ha avuto contatti con americani e turchi, e ha promesso che porterà la Siria verso un regime pacifico, con un'aria democratica, dove darà voce a chiunque voglia costruire con lui. Questa è la sua promessa. Dobbiamo crederci, fino a prova contraria».
E il cambiamento del Presidente americano, l’insediamento avvenuto recentemente di Donald Trump, crede possa portare una ventata positiva? O ritiene che gli USA continueranno con il loro impeto imperialista e guerrafondaio?
«Guardi, osservo le azioni e le minacce di Trump verso molte comunità, inclusi i palestinesi, a cui ha detto di lasciare Gaza. Credo che stia facendo una politica di pressione per portarli al tavolo delle trattative e ottenere ciò che vuole. Penso che la sua sia una strategia: Trump è un uomo d’affari, per lui uno più uno deve fare due. Credo che stia applicando questa logica del business alla politica. Attacca per costringere a negoziare, come ha fatto anche in Russia e Ucraina, e come sembra voler fare ancora».
E invece, riguardo al mondo multipolare che si sta sviluppando con i BRICS, ora composti da 22 stati, con la recente adesione della Nigeria, come lo vede? Aveva più senso prima, quando non c'era possibilità di negoziare, o continuerà a svilupparsi?
«Guardi, io credo molto nelle negoziazioni, credo molto nel rapporto umano diretto. Penso che una volta che gli americani riusciranno a trovare un accordo con i russi, e tireranno le somme su ciò che è successo nel mondo, allora tutto il resto diventerà secondario. Ci sono due grandi potenze, e quando queste due grandi potenze decidono, il resto viene dopo».
E come vedono i libanesi oggi la situazione del Medio Oriente?
«La comunità cristiana in Libano è profondamente legata all’Occidente. La religione cristiana stessa, pur essendo nata in Medio Oriente, si è trasformata nel corso dei secoli attraverso i vari Concili all’interno del mondo occidentale.
Non si tratta solo dei maroniti, ma dell’intera comunità cristiana libanese, che si è diffusa in tutto il mondo e si integra facilmente ovunque. In ogni paese si trovano libanesi sposati con francesi, italiani e altre nazionalità. È una comunità internazionalizzata, che desidera solo la pace, vuole vivere in pace e non vuole la guerra.
Abbiamo visto come gli israeliani abbiano bombardato e Hezbollah abbia risposto, mentre a soli 200 metri i locali erano pieni di gente. Ero in Libano quest’estate, e un programma Rai mi contattava continuamente per farmi rilasciare interviste la mattina. Ero sempre disponibile, ma quando mi chiedevano di mostrare la guerra, io ero in un ristorante pieno di persone che bevevano e festeggiavano. La gente ormai è stanca, non vuole più la guerra».
Come pensa che il nuovo Governo appena insediato in Libano, possa trasmettere a tutti una cultura della pace e del dialogo?
«Ultimamente, sono davvero più ottimista, perché sto seguendo la situazione da vicino. Nel governo attuale conosco personalmente quattro o cinque persone, tra intellettuali e imprenditori. Ad esempio, l'ex Presidente della “Maronite Foundation in the World” è stato nominato Ministro delle Comunicazioni. È un filantropo, un uomo che aiuta molto.
Dopo l’esplosione del porto di Beirut, ha creato un’associazione chiamata "Solidarity", finanziando personalmente la ricostruzione di 1.200 case e appartamenti distrutti. Di recente, con il sostegno dell’Annunciazione apostolica, ha inviato settimanalmente camion di aiuti ai villaggi cristiani al confine con Israele. Ha sostenuto di tasca propria le popolazioni di sette-otto villaggi cristiani, fornendo loro alloggi e cure mediche.
Quest’uomo, Charles Hajj, è un personaggio straordinario. È proprietario di un’azienda di telecomunicazioni a livello globale e offre un grande sostegno al governo libanese.
Anche il Ministro della Cultura è una figura di spicco: un intellettuale molto noto in Libano, già ministro vent’anni fa, autore di numerosi libri. Si chiama Ghassan Salameh.
Il Primo Ministro, Nawaf Salam, inoltre, è stato Presidente della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia prima di assumere il suo incarico. Il Vicepresidente, Tariq Mitri, è stato inviato speciale dell’ONU per la Libia e ha svolto un ruolo importante nei momenti di crisi.
Queste nomine non sono casuali, ma mirano a una ricostruzione seria del Libano. Il popolo libanese, ovunque nel mondo, si distingue per il suo talento e la sua capacità di fare carriera.
Qualche anno fa ho partecipato a un incontro di parlamentari di origine libanese provenienti da tutto il mondo: erano più di 200, tra americani, francesi, canadesi e numerosi rappresentanti dall’America Latina. Il problema è che in Libano, con tutte le diverse comunità, non si riesce a trovare una soluzione condivisa. Speriamo che questa sia la volta buona».
Come vede attualmente, le relazioni del Libano con il resto del mondo arabo, con i Paesi Brics e con gli USA?
«Direi che sono eccellenti. C’è stato un periodo in cui Hezbollah, sostenuto dall’Iran e in opposizione ai sauditi, ha creato tensioni. Ma con il nuovo governo e il nuovo presidente, credo che le cose torneranno alla normalità.
I libanesi che vivono nei paesi arabi sono milioni e lavorano ovunque. Per quanto riguarda i rapporti con la Russia e i paesi BRICS, la relazione invece è piuttosto tiepida. Il Libano è un Paese piccolo e poco influente, mentre gli Stati Uniti forniscono aiuti militari all’esercito libanese per ricostruirlo.
Con l’attuale amministrazione americana, abbiamo un legame particolare: il genero del presidente americano è di origine libanese, e suo padre è stato nominato da Trump inviato speciale per il Medio Oriente. Si tratta di qualcuno che conosce bene il Libano e potrebbe offrire un aiuto concreto per la nascita di un nuovo governo».
Comments