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Libano - Le testimonianze dei soldati italiani

Assadakah Beirut – “Per noi non fa differenza se scende la notte o sorge l’alba, i nostri soldati pattugliano l’area assegnata dalle Nazioni Unite 24 ore su 24. I numeri non dicono tutto ma spiegano molto: ogni giorno l’agenda registra 200 attività e nonostante dal 7 ottobre sia salita la tensione in tutta l’area, le modalità della nostra missione non sono cambiate”. Nel sole accecante di Shama, Libano del sud, dove la temperatura è rovente più che altro per gli scambi di razzi e artiglieria fra israeliani e milizie Hezbollah, il capitano Alessandro Crepy, 30 anni, di Alessandria, fiero di portare la penna sul cappello della Brigata alpina Tridentina, racconta l’impegno quotidiano dei Caschi blu italiani che hanno il comando del settore ovest del Libano meridionale. Sta a lui pianificare tutte le operazioni del reparto operativo italiano. L’allerta è alta: al momento in cui andiamo in stampa si teme un’escalation tra Iran e Israele, il confine libanese è cruciale.

I 1.200 soldati italiani sono inseriti nel contingente Unifil (la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite), che schiera 10.500 militari di 49 Paesi tra Libano e Israele, due nazioni ancora formalmente in guerra dal 2006. “Qui il confine è delimitato dalla Blue Line”, spiega Crepy, “una linea di demarcazione, in parte ancora minata. Il settore ovest di noi italiani copre un’area di circa 50 chilometri di Blue Line su 120 a sud e il fiume Litani a Nord. Lo scopo della missione Unifil è garantire la sicurezza, controllare il territorio e segnalare eventuali violazioni della Risoluzione dell’Onu in collaborazione con le Forze Armate libanesi”. Ovviamente i Caschi blu non sono belle statuine e in caso di attacco possiedono tutti i mezzi per difendersi, come da regole d’ingaggio. I sei mesi di missione della Taurinense che ha portato qui il terzo Reggimento alpini Pinerolo e il Nizza cavalleria al comando del generale Enrico Fontana sono stati carichi di tensione, con missili e razzi a scavalcare le loro teste. Dopo l’uccisione a Teheran del numero due di Hamas, Ismail Haniyeh, c’è stata una drammatica impennata. “Si contano già circa 90mila sfollati dall’area sud, colpita dagli israeliani, e molti villaggi semi distrutti e abbandonati”, spiega il tenente colonnello Bruno Vio, portavoce del contingente italiano. “Quando è possibile forniamo assistenza anche a queste persone”. Fuori dalla base di Shama, quartier generale del comando italiano (quello dell’intera missione Unifil è a Naqoura) e nell’altra di Al Mansouri sono parcheggiati in ordine i blindati bianchi con la scritta UN (United Nations). Sono i Vtlm Iveco, armati con mitragliere, capaci di resistere a eventuali esplosioni di ordigni improvvisati, dotati di un equipaggio di cinque militari e di una tecnologia di ultima generazione per le comunicazioni e il controllo esterno.

“Con questi automezzi effettuiamo pattugliamenti nelle zone abitate ma anche nei villaggi semi abbandonati”, spiega ancora il capitano con la penna anche sull’elmetto, che coordina un reparto di 100 uomini, la unità operativa Italbatt, “facciamo scorte ai convogli militari e civili, garantiamo la sicurezza dei nostri uomini e donne in divisa e quella della popolazione, segnaliamo movimenti sospetti, violazioni dello spazio aereo da parte di droni o velivoli”. E se si presentano situazioni tipo l’individuazione di depositi di armi o guerriglieri in transito? “Nei casi più delicati facciamo intervenire le forze armate libanesi e noi le supportiamo”.

La temperatura supera ampiamente i 30 gradi ma mogli, fidanzate e mamme in Italia sono preoccupate più per le fiammate di guerra. «È comprensibile, ma ogni giorno i nostri soldati possono mettersi in comunicazione con le famiglie, ovviamente inquiete per le notizie. Sta a noi mitigare la tensione e spiegare che tutte le operazioni vengono svolte in massima sicurezza, abbiamo migliorato i protocolli di protezione e fino ad oggi è andato tutto bene». Se scatta l’allarme in caso di Rocket attack, cioè quando imissili sibilano vicini, allora tutti nei bunker, secondo una procedura collaudata. C’è chi dice: "Ma cosa ci stanno a fare i soldati italiani laggiù? Fateli tornare a casa".

La missione dei Caschi blu è fondamentale. Se non ci fossero questi uomini l’escalation porterebbe a un rogo di proporzioni gigantesche. Qui davvero vale lo slogan “Italiani brava gente”. I soldati della Taurinense, come gli altri prima di loro, parlano con i capi dei villaggi: una continua operazionedi acquisizionedella fiducia, che significa anche incamerare informazioni utili. Se ci sono movimenti sospetti o miliziani in transito state sicuri che gli alpini della Taurinense lo vengono a sapere. Il capitano piemontese sorride. "Ma ci si commuove quando i bambini ci vengono incontro e riusciamo a distribuire loro bottigliette di acqua o cibo. La contentezza che esprime il loro sguardo è meglio di qualsiasi altra ricompensa". Gli alpini hanno appena formalmente ceduto il comando dell’operazione alla Brigata Sassari, che arriva da Cagliari. Sono i soldati conosciuti come Dimonios, nome affibbiato ai sardi dagli austro-ungarici durante la Prima guerra mondiale. Intanto intorno alla basi i tre cani pastori belga  Malinois, addestrati a fiutare l’esplosivo, si alternano agli ingressi per i controlli. Anche questi, seguiti dal Centro cinofilo dell’esercito di Grosseto si alternano, nelle missioni sono soldati a tutti gli effetti.

La parte umanitaria nella missione di peace keeping comporta distribuzione di cibo, medicinali, materiale scolastico, realizzazione di strutture utili alla società civile. Il portavoce del comando italiano, tenente colonnello Bruno Vio, spiega: «I 90 mila sfollati sono un problema aggiuntivo. Molti sono riparati da parenti e amici,ma la fascia più debole della popolazione da otto mesi è stata sistemata nelle scuole e quindi c’è necessità di un’assistenza medica più intensa. I nostri dottori si alternano anche negli ospedali militari che il governo libanese ha aperto ai civili. In una località vicino alla Blue Line, Ain-Ibel, siamo riusciti ad allestire anche una sala maternità. Nel caos degli sfollati che fuggono dai villaggi per paura dei bombardamenti l’emergenza riguarda molti malati cronici che non trovano più le medicine. E anche qui interveniamo noi». Poi ci sono i progetti come l’allestimento di 12 impianti fotovoltaici che sostituiscono le fonti di energia andate distrutte o mancanti che alimentano scuole, ospedali, edifici pubblici. Chi paga? "Ci sono fondi governativi che arrivano dall’Italia gestiti dal Covi, Comando operativo di vertice interforze, guidato dal generale Francesco Figliuolo, e altri fondi che provengono con generosità da donazioni di privati e associazioni di vario genere. Sono davvero tante, l’Italia ha un’anima solidale".

Tutti definiamo la turbolenza libanese “guerra a bassa intensità», che tanto bassa poi non è perché conta già 500 morti fra militari e civili in Libano, più chissà quanti altri in Israele compresi i 12 ragazzini della strage sul campo di calcio del Golan. La preoccupazione sale. Il ministero degli Esteri e quello della Difesa hanno già pronti piani di evacuazione. La Farnesina ha lanciato un appello molto preciso ai connazionali che si trovano a Beirut consigliando loro di rientrare, se possibile, in Italia e comunque di evitare lunghi spostamenti nel Paese dei cedri, soprattutto intorno a Beirut.Da Naqoura, quartier generale di Unifil, Andrea Tenenti, funzionario veterano delle Nazioni Unite e portavoce dell’intera missione, non vuole essere del tutto pessimista: "La situazione è drammatica, ma lo spazio per un cessate il fuoco è ancora aperto. Il Force commander di Unifil, il generale spagnolo Aroldo Lazaro, tiene costantemente aperto un canale di comunicazione tra le due parti mentre diversi Paesi, tra cui il Vaticano, sono impegnati per una soluzione diplomatica. Per la missione Unifil, italiani compresi, nulla cambia, i reparti continuano a pattugliare giorno e notte le zone di competenza e garantiscono assistenza alla comunità locale". Nel cielo del Medio Oriente intanto continuano a soffiare impetuosi venti di paura, con Israele che promette di annientare Hamas ovunque seguendo la dottrina di Golda Meir, l’Iran giura vendetta per l’uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh, Hezbollah lancia razzi a decine, le alleanze dell’una e dell’altra parte come tifosi ultras lanciano minacce. Cala la notte su Naqoura, il mare è calmo ma il mondo non dorme sonni tranquilli. (fonte: Beppe Boni)

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