Roberto Roggero - Diversi Paesi arabi, storicamente su posizioni opposte e contrastanti, se non in aperta crisi, fino a qualche anno fa, attualmente si stanno riavvicinando. L’esempio più eclatante sono gli annunci di imminente ripresa delle relazioni diplomatiche, con riapertura delle relative ambasciate, fra Arabia Saudita, Bahrain altri Stati del Golfo, con la Repubblica Islamica dell’Iran. La immediata conseguenza è l’isolamento geopolitico di Israele, che infatti sta reagendo, ma in un modo strategicamente sbagliato, con interventi che stanno nuovamente facendo alzare la tensione. E anche fra Israele e Libano oggi la situazione è decisamente tesa, dopo gli attacchi aerei che Tel Aviv ha effettuato nella parte meridionale del Paese dei Cedri.
I razzi che da Israele hanno colpito il Libano meridionale, costituiscono una escalation che non ha precedenti, dopo la crisi del 2006, e rischia di fare esplodere la tensione, anche a causa della situazione interna del Libano, oltre alla presenza, proprio nel territorio meridionale, della missione ONU-Unifil.
Ripetuti attacchi, poco prima dell’alba, sul fronte israelo-libanese. Attacchi su striscia di Gaza e Libano meridionale, con cui Tel Aviv ha sostenuto di voler colpire posizioni del movimento palestinese Hamas. Replica alle decine di razzi che sostiene siano piovuti sul suo territorio da quando l'intervento della polizia nella Moschea di Al-Aqsa, a Gerusalemme est, ha negli scorsi giorni infiammato la protesta e scatenato l'indignazione di buona parte del mondo arabo.
Il governo libanese si appella all’ONU denunciando una vera e propria aggressione deliberata, con un ulteriore richiamo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, definendo l'attacco una flagrante violazione della sovranità nazionale, e segnalando il fatto che diversi missili sono caduti vicino al campo profughi palestinese di Rashidiyeh, fortunatamente senza causare vittime.
Si moltiplicano intanto gli appelli internazionali. La forza ad interim delle Nazioni Unite in Libano ha invitato le parti coinvolte a cessare qualsiasi azione violenta, che rischierebbe di far degenerare la situazione, che già si è infiammata a causa delle dichiarazioni del ministro delle Finanze israeliano Bezazel Smotrich, fatte a Parigi, che hanno causato la quasi unanime condanna della comunità internazionale. Smotrich ha infatti mostrato una mappa raffigurante il cosiddetto “Grande Israele”, un progetto revisionistico che include il territorio dell’intera Palestina mandataria degli anni Venti e Quaranta del secolo scorso, e ha negato l’esistenza stessa di una cultura e di un’identità palestinese. Dichiarazioni che hanno provocato diverse reazioni nel mondo arabo, in particolare, da parte dei governi di Giordania ed Emirati Arabi Uniti (EAU). Ad Amman, il Parlamento giordano ha votato per l’espulsione dell’ambasciatore israeliano, mentre negli EAU il ministro degli Esteri, Abdullah bin Zayed bin Sultan al-Nahyan, ha condannato fermamente l’accaduto e il Presidente Mohamed bin Zayed al-Nahyan ha deciso di inviare una delegazione a Tel Aviv per esprimere preoccupazione per i disordini nel Paese e per il trattamento riservato ai palestinesi da parte del governo israeliano.
La reazione giordana, non certo inaspettata, si inserisce in uno scenario di continui alti e bassi, nelle relazioni con Israele, anche a causa della ferma convinzione di Amman di non modificare il suo approccio verso la questione israelo-palestinese, basato su un chiaro sostegno all’autodeterminazione nazionale palestinese e su una conservazione dello status quo dei luoghi sacri di Gerusalemme Est, che sono sotto amministrazione giordana e su cui i musulmani hanno il diritto esclusivo di preghiera. Ulteriori attriti potrebbero nascere qualora venisse riproposto il piano sull’annessione della Valle del Giordano, già presentato da Netanyahu nel 2020 e poi ritirato in seguito alle pressioni occidentali ed alla condanna giordana. Una mossa che non solo costituirebbe una violazione del trattato di Pace del 1994, ma spazzerebbe via ogni speranza per la soluzione dei due Stati, fortemente sostenuta dalla Giordania, ma nel meccanismo vi è anche il fatto che Israele e Giordania hanno rapporti commerciali specialmente in campo energetico e idrico, di cui Amman non può fare a meno.
È poco probabile, quindi, che Israele lasci deteriorare le relazioni con la Giordania e con gli EAU. Tuttavia, è auspicabile, soprattutto per i Paesi arabi, che la leadership israeliana prenda atto dei limiti delle sue politiche e che assuma un serio impegno a disinnescare la violenza come assunto almeno formalmente negli anche alla luce degli incontri di Aqaba e Sharm el-Sheikh delle scorse settimane.
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