Redazione Assadakah – Il Medio Oriente è di nuovo e ancora a ferro e fuoco, di conseguenza, gran parte del mondo è in subbuglio. Posto che quella israelo-palestinese non è l'unica crisi in corso, rimane il fatto che avviene in una zona estremamente critica del pianeta, dalla quale dipendono le economie di molti Paesi dell'emisfero occidentale e non solo. Nella regione, agiscono attori di prima grandezza, con alleati e amici di prima grandezza. Fra Ucraina, Myanmar, Africa, Kurdistan, Nagorno-Karabakh, Afghanistan, Libia, Kashmir, Centro America, e molti altri territori, e in una situazione di pandemia ormai dichiarata, la situazione non è incoraggiante. Appunto per questo, la storia ha ormai chiaramente dimostrato che con la violenza si ottiene solo altra violenza, ma purtroppo è altrettanto vero che non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire. Quando la vittima si trasforma in carnefice, o viceversa, la situazione rischia di scappare di mano. Sta succedendo questo, e addirittura grottesco, volta dopo volta, continuare ad autodistruggersi. A un attacco israeliano nella Striscia di Gaza o in Cisgiordania, è ormai assodato che corrisponde una determinata risposta. Più l'attacco è massiccio e mirato, più violenta è la risposta. Peggiori sono le conseguenze.
Una certa parte della politica italiana, e i cosiddetti media mainstream, di fronte all'evidenza dei fatti, continuano a non voler vedere e reagire a tutto questo. Nessuno può condividere il lancio di oltre mille razzi contro abitazioni di gente che nulla può fare se non subire, come nessuno può condividere il vedere un palazzo di 13 piani crollare su sé stesso dopo essere stato deliberatamente colpito alla sue fondamenta, e con diverse famiglie rifugiate al suo interno. Né è comprensibile come si possa propagandare “il diritto di Israele a esistere”, quando lo stesso Stato ebraico di fatto impedisce l'esistenza di uno Stato Palestinese, e da decine di anni, imponendo una occupazione militare che vede tiratori scelti sparare a bambini perché giocano a palla troppo vicino a un reticolato di confine, incarcerando arbitrariamente, costringendo donne e bambini a lasciare le proprie case, quando non demolendole direttamente con i bulldozer.
Una certa parte della politica italiana, e naturalmente non solo quella, dovrebbe avere la forza di imporre ai contendenti, di vedere che violenza chiama violenza, questo è d'altra parte un fatto assodato. E che se in circa 70 anni tutto questo non ha portato a niente, forse conviene sedersi a un tavolo, una volta per tutte, e vedere se, posando fucili e lanciarazzi, e creando due Stati, ufficialmente riconosciuti dalla comunità mondiale, si possa comunque esistere, se non coesistere. Il problema è che proprio una parte della politica italiana e internazionale, deve convincere sé stessa prima di tutto, e non cercare di vendere una versione edulcorata di una situazione, cercando di invertire fattori di fatto incontrovertibili.
Esistono oggi sempre più israeliani, soprattutto giovani, che si sono stancati di vedere e vivere tutto questo. Esistono persone che non hanno mai vissuto una condizione di pace. Cresciuti con la pistola in tasca e il mitra in spalla. Tutto questo è decisamente disumanizzante. Ancor più considerando che è la gente della strada a subire questo inferno, perché (detto fuori dai denti) se proprio si vuole usare un'arma, tanto varrebbe vedersela all'antico modo: Orazi e Curiazi, e chi esce dall'arena ha il diritto di comandare. Non è una soluzione, certamente, perché priverebbe comunque una parte dei propri diritti fondamentali. D'altra parte, continuare così si è dimostrato, si sta dimostrando, autodistruttivo.
Proviamo con la pace, visto mai che possa funzionare? Per fare questo, però, è necessario riconoscere reciproche responsabilità e mettersi sullo stesso piano. Si chiama anche autocritica, o presa di coscienza, o riconoscimento, e chi più ne ha più ne metta.
Con il propagandare un paradossale “diritto di esistere” da parte di Israele, una certa parte della politica, italiana in particolare, dimostra di non volere riconoscere una incontrovertibile realtà storica, ed è questo il paradosso, che di certo non contribuisce alla distensione, anzi, evidentemente getta benzina sul fuoco.
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