Assadakah News (Roma) – Diverse donne, giovani e meno giovani, fra le fortunate che sono riuscite a uscire dall’Afghanistan, pur avendo lasciato familiari, casa e patria, si trovano in un centro di raccolta neo pressi di Atene. Alcune sono donne semplici, madri di famiglia, popolane, altre sono avvocati, giudici, giornaliste, attiviste per i diritti umani, tutte accomunate da un destino purtroppo avverso, senza sapere se potranno un giorno tornare nel proprio Paese. Vivono contando esclusivamente sul sostegno di associazioni per i diritti umani, che provvedono al loro mantenimento, in questi centri organizzati, come quello che si chiama “Melissa” (in greco “alveare”), dove posso contare su assistenza legale, supporto psicologico, networking e corsi di specializzazione di vario tipo, per avere la possibilità di cominciare una nuova vita, e offrire ai propri figli un futuro. Hanno adattato gli ambienti dive vivono, con disegni alle pareti, fotografie, ricordi, e a chiunque voglia parlare con loro e ascoltare le loro storie, offrono una fantastica ospitalità, capaci di sorridere ancora, nonostante dolorose perdite familiari, di lavoro, indipendenza, autostima. Tutte sono state costrette a nascondersi.
Una di queste, Hasina, in Afghanstan era un giudice, e quindi donna istruita, cosa assolutamente intollerabile per i nuovi padroni del Paese, che hanno liberato dal carcere numerosi criminali che lei stessa aveva condannato, e naturalmente è stata costretta alla fuga, per timore di sicure vendette, non solo nei suoi confronti, ma anche dei suoi figli. Anche Fariba era un giudice, e tutto ciò che è riuscita a portare con sé è un abito tradizionale afgano. L’unica cosa, dopo lingua e la bandiera, che rappresenta tutte le donne afgane nel mondo.
Un’altra, Homa, era niente di meno che un deputato del Parlamento, che ha visto giorno dopo giorno la cancellazione dei più elementari diritti, a cominciare da quelli dei bambini per finire a quelli della libertà individuale (soprattutto per le donne), e di lavoro.
Nilofar, a soli 26 anni ha due lauree (in legge e scienze e politiche), è giornalista e purtroppo ha dovuto affrontare l’ostilità degli uomini della propria famiglia, prima di essere costretta a fuggire dall'Afghanistan con i suoi due figli, il più piccolo ha solo 8 mesi. Da un giorno all’altro si è vista imporre modo di parlare (o forse meglio dire di non parlare), abbigliamento, libertà.
Khatera, mamma di due bambini è un'attivista della società civile e giornalista; in Afghanistan lavorava per un'organizzazione internazionale. È fuggita con i figli e la madre, anche lei attivista per i diritti umani, perseguitata dai talebani, ed è determinata, come molte altre, a tornare nel proprio Paese più forte di prima, per aiutare la sua gente.
Per la maggior parte di queste donne, la Grecia sarà solo un paese di transito. Alcune hanno già ricevuto offerte d'asilo in Canada e Spagna. Altre vorrebbero andare in Germania. Circa un centinaio di queste donne hanno chiesto di rimanere in Grecia e le loro richieste sono al vaglio delle autorità. Mentre altre centinaia non avranno le stesse possibilità. Negli ultimi mesi la Grecia ha rafforzato la sicurezza e la sorveglianza delle frontiere marittime e terrestri con la Turchia, le principali vie d'ingresso per la maggior parte dei migranti afghani.
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