Odeh Amarneh (Assadakah News) - Ahmad Rafiq Awad è uno degli scrittori più importanti dei territori occupati. Molti critici, ricercatori, studiosi, studenti, e appassionati delle sue opere letterarie concordano su questa affermazione. Ha scritto libri di politica, trattati di analisi strategica e media, romanzi, racconti brevi e opere teatrali, oltre a saggi e critiche letterarie. Il suo nono romanzo, "La vita come dovrebbe essere" è la sua quarta opera tradotta in italiano e pubblicata dalla casa editrice Calamus di Roma.
I suoi libri si sono diffusi in tutto il mondo arabo e le sue opere sono state tradotte in diverse lingue. In passato sono state tradotte in italiano due opere teatrali: “Re Churchill", casa editrice "Camenia" e "La colonia felice" casa editrice "città del sole" e il romanzo "Il Paese del mare" edito da "Edizioni Q".
Ahmad Rafiq Awad ha ricevuto numerosi e prestigiosi premi locali e internazionali e anche il premio dell'Accademia Italiana delle Arti di Napoli, in collaborazione con il Centro Studi Culturali e Storici di Eboli nel 2017, a seguito del quale lo scrittore è stato nominato membro onorario dell'istituzione.
La maggior parte dei romanzi di questo scrittore palestinese sono realistici, trattano della vita quotidiana presente nella sua durezza, con tutte le sue sfumature, quelle positive e quelle negative. Parlano con coraggio senza fronzoli o abbellimenti, a volte sono critici e rabbiosi e altre volte scritti con il pennello di un pittore appassionato e orgoglioso. Ma il più delle volte si appoggia agli eventi storici, e i suoi protagonisti si muovono negli orizzonti della storia individuale e collettiva, come se volesse raccontare al lettore che la storia si ripete e nulla cambia, che la storia è una buona maestra da cui impariamo, ricordando i nostri errori o le nostre glorie. Oppure sembra voler dire che la storia offre grandi domande e risposte scioccanti. Nei suoi testi si percepisce una luce che punta al futuro, piena di speranza, che sorprende per la sua elevata capacità di previsione.
Vivendo a Roma da molto tempo, quando ho letto il romanzo “La vita come dovrebbe essere”, mi sono subito ricordato del famoso scrittore italiano Italo Calvino (Cuba, 15 ottobre 1923 – Siena, Italia, 19 settembre 1985), che partecipò alla resistenza in Liguria con il nome di battaglia Santiago. Scrisse nel 1958 una famosa poesia dal titolo “oltre il ponte”. Una poesia che trasmette appieno il significato della resistenza e della liberazione dall'oppressione del fascismo e del nazismo. È dedicata ai giovani e come disse all'epoca Calvino: “Pochi sanno cosa accadde nel nostro Paese in quegli anni difficili e che sono lontani da noi adesso". La poesia recita:
O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d'aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all'età che tu hai ora.
Coprifuoco, la truppa tedesca
la città dominava, siam pronti:
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti.
Il poeta o il cantante aggiunge:
Avevamo vent'anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch'è in mano nemica
vedevam l'altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent'anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l'amore.
Silenziosa sugli aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l'oscura montagna..... etc.
Dopo circa un anno il testo venne musicato da Sergio Liberovici, nel 2005 il noto gruppo musicale “Modena City Rambles” ripropose il testo, e la canzone si è diffusa a tal punto che non si può incontrare un solo italiano che non conosca questa canzone che glorifica il periodo di lotta, di liberazione dalla schiavitù dell'occupazione straniera, e chi ricorda questa canzone, sicuramente ricorderà anche la famosa canzone “Bella Ciao”:
Una canzone, questa, che è diventata lo slogan della resistenza e lo stendardo contro ogni tipo di ingiustizia in ogni parte del mondo. Non esageriamo se diciamo che è il vero inno nazionale per una parte di Italiani. Questa è una semplice immagine della letteratura contemporanea italiana, che ha il compito di preservare la memoria quella individuale e collettiva di un Paese che difese con le unghie e con i denti la propria terra. È un gesto di fedeltà alla memoria di coloro che si sacrificarono, lottarono e persero la vita per l'Italia.
Ebbene, cosa c'entra il romanzo di Awad con lo scrittore Italo Calvino e Bella Ciao? Forse, per fare un semplice paragone tra due popoli sulla sponda del Mediterraneo e dire che le cose, i valori e le esperienze che condividiamo e in cui crediamo sono molto di più di quelle che ci dividono, e semplicemente perché questo romanzo appartiene all’arte della “letteratura di resistenza”, e perché il romanzo, come la poesia e il canto, è considerato una forma di resistenza.
Questo romanzo racconta la storia di un giovane palestinese, Rashed, della città di Ya’bad, nel distretto di Jenin, nel nord della Cisgiordania. Si è laureato, e come molti della sua generazione, non ha trovato lavoro, ha deciso di lavorare in un'azienda commerciale come camionista che trasporta generi alimentari e con il suo mezzo vaga per i villaggi, i vicoli e le strade del governatorato di Jenin.
Rashed è un giovane ribelle che ha iniziato la sua lotta, quando ha rifiutato l'ingiustizia e l'oppressione e punizione collettiva praticata dai soldati d'occupazione al checkpoint di Al-Hamra, che collega le città di Gerico e Jenin, mentre attraversava con il suo veicolo commerciale, e quando ha protestato e urlato contro di loro, gli hanno sparato e lo hanno picchiato, quindi lo hanno arrestato e imprigionato per cinque anni nella prigione del - Negev nel deserto con l'accusa di aver tentato di pugnalare un soldato. Lì incontrò due amici della resistenza, "La Volpe" e "Lo Sceikh".
Quando Rashed uscì di prigione, anche se si era sposato e aveva un figlio, decise di resistere all'occupazione. Il ragazzo dalle guance di pesca, il ragazzo dalle guance d'aurora decise di non chinare la testa e rifugiarsi in montagna. La vita dovrebbe essere come ha deciso Rashed quando ha detto: "Così sia. Sono Rashed Al-Mahmoud. Amo questa mia scelta. Amo la mia vita in questo modo. Amo questo magazzino, questo braciere e questo fucile. Questa è esattamente la mia libertà.”
In una notte buia e piovosa di fine marzo, ha compiuto un attacco contro le forze di occupazione che attraversavano la pianura che separa Ya'bad e Arraba in un'area chiamata localmente "Il Ponte". e subito dopo è scomparso tra le montagne e tra gli alberi e le piante del suo paese.
I nomi di questi alberi saranno il titolo di ventitré capitoli del romanzo. Il romanzo parla del viaggio, è l'avventura del suo nascondersi e continua con le forze di occupazione che gli stanno dando la caccia per arrestarlo o ucciderlo. Questi alberi non sono citati casualmente o per decorazione, ma esprimono uno stretto legame tra il palestinese e la sua terra, e sono parte integrante dell'azione rivoluzionaria, oltre ad essere fonte durante la clandestinità. La scelta di questi alberi non si limita a ciò che il palestinese è abituato a coltivare sulla sua terra da centinaia di anni, piuttosto, vediamo nuovi alberi in questo ambiente, Vediamo alberi giovani in questo ambiente, questo è indice dell’amore dei palestinesi per il
rinnovamento e la voglia di connettersi con le esperienze di altri popoli liberi.
Rashed continua il suo viaggio da clandestino e incontra il vecchio Abu Mohammad della città di Araba, che lo aiuterà ad arrivare segretamente al campo profughi di Jenin, roccaforte della resistenza nel nord della Cisgiordania, e lì inizia una nuova vita, Rashed diventa parte di un “fenomeno nazionale” che il campo vive da tre anni.
Nei capitoli del romanzo si svolgono dialoghi e riflessioni profondi e coraggiosi, personali, nazionali ed esistenziali, portatori di connotazioni intellettuali e politiche che contemplano la necessità dell'azione rivoluzionaria, la natura del conflitto e la sua inevitabilità come un dovere e come una tassa dovuta al luogo e alla vita sotto occupazione. Queste sono le riflessioni di Rashed durante il periodo di detenzione e durante il suo viaggio, e le sue conversazioni con Abu Mohammad e i suoi amici nel campo profughi.
L'ufficiale dell'esercito occupante, con il nome prestato dall’arabo “Abu Al-Saeed” assedia Ya'bad e le sue forze in crisi, proprio come lui, impongono il coprifuoco. Le forze di occupazione irrompono nelle case, le distruggono e portano avanti una campagna di arresti, abusi, sparatorie, devastazioni, aggressioni, uccisioni e distruzioni nel corso dei giorni. Eventi che si verificano quotidianamente in Palestina da più di cento anni.
Il nome del personaggio è molto importante perché spesso i servizi segreti usano nomi arabi per mistificarsi e il personaggio lo usa anche per il suo immergersi nel mondo della vittima.
Il romanzo parla del conflitto e della crisi sociale, psicologica ed esistenziale del sistema di occupazione parlando dell'ufficiale dell'intelligence Abu Al-Saeed, il “sefardita” israeliano orientale che lamenta la persecuzione e la superiorità degli "ashkenaziti" israeliani occidentali. Ciò appare quando nel romanzo si parla del suo rapporto in crisi con sua moglie e suo figlio, Zalman o Salman.
Nel testo c'è un confronto o uno scontro tra la narrativa palestinese e la narrativa israeliana, tra la verità e la menzogna, il giusto e l'ingiusto, la narrazione autentica e la narrazione delirante, il potere della verità e il diritto al potere. Questa narrazione vuole dire che non esiste vita per i palestinesi senza libertà e dignità, e che una vita governata dall’occupante non è vita.
Gli eventi del romanzo sono frenetici e ricordano gli eventi di un film thriller pieno di suspense, contenente immagini, colori, odori e suoni sorprendenti dell'ambiente agricolo rurale palestinese con la sua semplicità e forza, con un linguaggio artistico professionale fluido e calmo che non ti annoia, poiché l’elemento di suspense è forte dall’inizio fino al finale aperto che ti spinge a riflettere, o forse ad aspettare, la seconda parte della storia di Rashed.
Pubblicare questo romanzo in questo difficile momento storico, un momento in cui le libertà vengono soppresse e le voci che si alzano in tutto il mondo a sostegno della causa palestinese vengono messe a tacere, gli conferisce un importante valore politico, letterario e di bellezza, e perché tradurre la letteratura palestinese nelle lingue del mondo è un dovere e una scelta chiara che sottolinea l’impegno per far accrescere consapevolezza della storia e della lotta del popolo palestinese. Tanto più che il testo letterario fornisce uno strumento utile e sano per sviluppare il livello del dibattito in atto e per fornire al movimento di solidarietà internazionale elementi e strumenti efficaci come il romanzo, la poesia, il cinema, il teatro, la pittura e altre forme d'arte, per comprendere la natura del conflitto e cercare soluzioni giuste per raggiungere un mondo migliore.
(Odeh Amarneh - scrittore e poeta palestinese)
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