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La guerra è guerra – Ricordiamoci dell’Iraq

Redazione - Per dare un senso e una misura alla guerra in corso (che per altro è una delle tante), un consiglio: tornare a quello che è successo in Iraq, prima con la guerra del Golfo e poi nel 2003 e negli anni seguenti, con l’accusa a Saddam Hussein di nascondere armi letali. Accusa poi rivelatasi infondata, costruita dalla macchina del falso. Basta una piccola ricerca su Internet, confrontare le fonti, leggere cosa è scritto e cosa dissero, e fare qualche paragone con la guerra in corso.

A parte il conflitto tra le forze armate della Nato e quelle irachene, decisamente sproporzionato assai più di quello odierno, era comunque un conflitto fra soldati. Molto diverso, invece, quello che è successo alla popolazione, ai civili, ai vecchi, alle donne e ai bambini, ai malati. Una carneficina di decine di migliaia di persone, quasi tutte frutto dei bombardamenti degli americani e dei loro alleati. Pensare un momento a ciò che hanno mostrato le televisioni, i giornali di quel tempo. Non si troverà quasi nulla.

La CNN aveva, soprattutto nel primo conflitto, il monopolio quasi esclusivo della “narrazione” sul campo e delle relative immagini. Chi raccontò la storia di bambini massacrati, di famiglie costrette a vivere nel terrore e decimate, di centri popolosi e di siti storici e archeologici di rilievo bombardati e distrutti? Chi raccontò le vite spezzate degli iracheni, non dei soldati di Saddam ma della gente comune, le fosse comuni, la gente sepolta sotto montagne di sabbia, i morti per le strade, nelle scuole, negli ospedali, nei pressi delle moschee? Nessuno, o quasi. Se solo avessimo visto quel che successe, noi oggi diremmo che Bush padre e figlio, come Clinton per la Serbia e il Kosovo e tanti altri presidenti americani, sarebbero da considerarsi colpevoli di crimini contro l’umanità. Sarebbero anche loro da processare.

Sappiamo anche quanto pesò la guerra nel Golfo e l’intervento militare in altri luoghi caldi del medio oriente, nel formarsi del terrorismo da parte dei fanatici islamisti e anche di quella zona di sostegno di cui godettero in memoria di quel che era successo. Sappiamo quanti dittatori furono alleati e amici dell’Occidente e vissero indenni; e altri come Saddam furono processati e uccisi a guerra finita o lasciati massacrare come Gheddafi.

Gli appelli accorati e inascoltati di Giovanni Paolo II, le sue denunce, anche quando, finita la guerra, furono poste le sanzioni all’Iraq e furono negati, nell’embargo anche i medicinali e i generi di prima necessità, con una moria di malati, di fragili, di bambini. Cose che noi vagamente apprendemmo ma poco sapemmo; né potevamo attaccarci a Al-Jazeera e prendere per oro colato quello che raccontavano.

Perché alcune catastrofi umanitarie destano il nostro orrore, sdegno e rivolta e altre no? Perché non le abbiamo viste, non le abbiamo seguite nei dettagli, non ce le hanno fatte vedere, pur disponendo dei mezzi per farlo. Non ci hanno raccontato storie e vite tremende, non sappiamo quasi nulla. E nel mondo dell'informazione e dell'immagine, di solito, se di una cosa non si parla, è come se non fosse successa.

Quanto conta allora la “fabbrica delle immagini” in una guerra, non solo nelle dittature o nei regimi autocratici come quello di Putin, ma anche nelle nostre democrazie? Guardate che non sto nemmeno toccando un tema scabroso, per il quale scatta subito l’accusa di negazionismo, ovvero la messa in dubbio di alcune stragi e l’attribuzione di alcune vittime a uno o all’altro schieramento. Difendiamo la civiltà, non quello che la nega; noi difendiamo la nostra libera passione di verità e non le sue negazioni né i crimini commessi per “ragioni umanitarie”.

Uno sterminio non ne giustifica un altro, né si attenuano le colpe di Putin se ci sono e c’erano colpe anche di altri presidenti americani. Però la verità va conosciuta intera, si deve essere realisti e si deve commisurare il nostro giudizio e la nostra azione a tutto il contesto, ai suoi precedenti. Certo, l’ultimo Paese che può accusare un altro di crimini dell’umanità sono gli Stati Uniti. Non esiste l’Impero del Male, e non esiste l’Impero del Bene.

Perché è utile avere memoria e ricordare la storia? Per tante cose, ma anche perché si capisce meglio la realtà presente e si capisce che nel mondo non c’è mai la lotta finale tra il Bene e il Male, ma tra errori, orrori e miserie.

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