Roberto Roggero* - Da non dimenticare il ruolo dell’Iran in questa guerra. Hamas attacca Israele perché, fra gli obiettivi, c’è quello di scalzare al-Fatah nel controllo della Cisgiordania, per diventare l’unico interlocutore della popolazione palestinese da Gaza fino alla Cisgiordania. Poi attacca in questo momento perché la società israeliana è stata in questi mesi dilaniata dallo scontro interno tra due anime evidenti che la compongono. Da una parte quella originaria, laica, ashkenazita. Dall’altra quella religiosa, confessionale e non di origine occidentale. Però l’azione di Hamas è stata certamente - e questo lo possiamo dire con certezza - sostenuta dall’Iran.
In Medio Oriente, ormai da alcuni anni, si è creato un fronte anti-iraniano molto cospicuo, che si allarga anche al Maghreb e all’Africa, composto da Paesi arabi che hanno firmato i cosiddetti accordi di Abramo. Di chi parliamo? Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Sudan. Aggiungiamo a questi la Giordania, che è un Paese che da decenni vive grazie alla volontà di Israele, e l’Egitto, che ha firmato a sua volta un trattato di pace con Israele nel 1979. E ancora: prima del 7 ottobre era vicina anche la normalizzazione nelle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita ed Israele. Quindi si tratta di diversi Paesi arabi e musulmani che si stringono ad Israele in funzione anti-iraniana. E ciò è proprio quello che fa più paura all’Iran, che è un Paese musulmano ma non arabo, è un Paese indoeuropeo persiano, un antichissimo impero di religione musulmana ma sciita, a differenza dei Paesi citati che sono tutti a maggioranza sunnita. Proprio per evitare che questo fronte si compatti ulteriormente con l’ingresso dell’Arabia Saudita, l’Iran ha utilizzato questo agente di cui dispone, cioè Hamas. Perché un attacco così vile e terroristico inevitabilmente avrebbe provocato una durissima reazione di Israele nei confronti di Gaza. E lo scopo del piano iraniano è quello provocare notevolissimo imbarazzo ai regimi che hanno siglato accordi con Israele. Quei regimi che hanno una popolazione musulmana cresciuta nell’antagonismo nei confronti di Israele e dell’Occidente, davanti alla reazione inevitabile dello Stato ebraico, avranno un motivo che permetterà all’Iran di far andare in crisi quegli accordi”.
Il Qatar, invece, è fuori da questa logica, ha rapporti con tutti e relazioni straordinarie con gli Stati Uniti e con l’Occidente. Condivide il più grande dispositivo gasiero del mondo con l’Iran, con il quale ha ottimi rapporti. È l’unica monarchia del Golfo ad avere questo tipo di rapporti con Teheran. Finanzia Hamas e spesso triangola con l’Iran per questi finanziamenti e ha anche straordinari rapporti con la Turchia, di cui finanzia una buona fetta della politica estera in nome della fratellanza musulmana. Il Qatar non è tra i Paesi che si stringono ad Israele, ma dall’altra parte. E tuttavia mantiene ottimi rapporti con quasi tutti i soggetti.
Vi è poi la Cina, che ha straordinari interessi commerciali in Medio Oriente, ma non è riuscita a tradurre quel tipo di influenza economica anche in un’influenza geopolitica. Questo sebbene la Cina sia un importatore netto di idrocarburi sauditi e non solo. E sebbene investa massicciamente in Israele, a partire da Haifa, ma non solo. Ma non ha una caratura geopolitica decisiva. Un esempio: nel tentativo di schermarsi dal fronte contro di sé, l’Iran ha chiesto aiuto proprio alla Cina nei mesi scorsi. E la Cina ha mediato una simil tregua tra Arabia Saudita ed Iran, che è andata in porto durante l’anno. Ma appunto era una simil-tregua, perché in questi giorni abbiamo visto come gli eventi hanno spazzato via la mediazione cinese”. In questa fase è quella di salvare gli accordi di Abramo, ovvero di quel fronte anti-iraniano, con al centro proprio Israele, a cui prima hanno lavorato sia l’Amministrazione Trump che quella di Biden. L’apparato diplomatico statunitense ha lavorato tanto e stava per arrivare a dama anche con l’Arabia Saudita. Gli Stati Uniti quindi non vogliono che il conflitto si allarghi. Per questo c’è la portaerei Ford in questo momento dirimpetto alle coste di Israele: è un segnale nei confronti di chi volesse inserirsi. E allo stesso tempo gli USA chiedono, nei limiti del possibile e del diritto sacrosanto per Israele di distruggere il reticolato di Hamas a Gaza e impedirne le capacità di offesa almeno a questi livelli, di mantenere una razionalità. Gli USA chiedono a Israele di andare oltre l’emotività perché un eccessiva emotività tra le popolazioni arabe, esterne a quella palestinese, potrebbe poi innescare il fallimento degli accordi di Abramo.
A livello pratico, l’Italia ha appoggiato le conclusioni del Consiglio UE a favore di “pause umanitarie” a Gaza, ma senza l’adozione di un vero e proprio cessate il fuoco. La rappresentanza italiana all’ONU, invece, si è astenuta dal voto di una risoluzione a favore di una tregua umanitaria nella Striscia di Gaza. L’ambasciatore Maurizio Massari, rappresentante permanente d’Italia all’Onu, ha spiegato che l’astensione dal voto è dovuta alla mancanza nella risoluzione di una chiara condanna all’attacco sferrato da Hamas contro Israele il 7 ottobre scorso. La posizione italiana rimane coerente con quella di grandi attori politici europei, come Germania e Olanda, ma difforme da altri, come la Francia, a dimostrazione di un fronte europeo diviso sulla questione palestinese.
(* Direttore responsabile Assadakah News)
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