Roberto Roggero* - Sebbene fino a questo momento Israele abbia pressoché ignorato gli appelli del presidente Biden a prendere “tutte le precauzioni possibili” per tutelare i civili, gli aiuti statunitensi continuano ad arrivare. Si stima che dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi (1945-2024), Israele abbia ricevuto dagli USA circa 170 miliardi di dollari, più di quanto gli Stati Uniti abbiano dato a qualsiasi altra nazione. La posizione di Pechino su ciò che sta avvenendo a Gaza è ambigua, non troppo dissimile all’approccio cinese nei confronti della questione ucraina. Si tratta di un tentativo di bilanciamento tra i tanti interessi in gioco, primi fra tutti quelli cinesi.
L’obiettivo ultimo è un posizionamento da grande potenza ‘neutrale’, sostenitrice della pace e pronta a offrire un’alternativa alle più radicali posizioni statunitensi pro-Israele, che agli occhi della Cina non fanno altro che alimentare l’instabilità della regione. Quella di Pechino si potrebbe definire come una “neutralità anti-occidentale”: infatti, seppur alla ricerca di un ruolo da mediatore, la sua posizione pende verso il lato palestinese.
A dar conto di ciò sono, in primo luogo, le parole dell’inviato cinese per le questioni mediorientali, Zhai Jun, che ha sottolineato come “la ragione fondamentale dell’attuale situazione del conflitto israelo-palestinese è che non sono stati garantiti i legittimi diritti nazionali del popolo palestinese”. In secondo luogo, la Cina si è astenuta dal definire l’aggressione di Hamas un atto terroristico, limitandosi a esprimere “preoccupazione” per le violenze verso i civili e a ribadire il suo sostegno alla “creazione di uno Stato palestinese indipendente”. Gli interessi cinesi in gioco sono tanti e trasversali a diverse aree. Dal punto di vista economico, la Cina ha bisogno di un Medio Oriente stabile, in quanto zona cruciale della Belt and Road Initiative (BRI), il suo progetto cardine a cui si è unita nel 2022 anche la Palestina. Inoltre, la Repubblica popolare è il maggior partner commerciale di molti Paesi mediorientali e, si ritiene, anche il maggior acquirente singolo di petrolio iraniano e saudita. Dal punto di vista geopolitico, la posizione cinese di “neutralità anti-occidentale” può essere un’ulteriore spinta alla leadership cinese nel Global South, la cui gran maggioranza dei paesi è solidale alla causa palestinese.
La posizione italiana sull’escalation Hamas-Israele è stata delineata in più occasioni dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e da altri esponenti del governo come il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Durante la sua visita in Israele, il 21 ottobre scorso, Giorgia Meloni ha incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. La premier ha ribadito “il pieno diritto di Israele a difendersi secondo il diritto internazionale e a vivere in pace”, sottolineando inoltre “l’importanza di garantire l’accesso umanitario a Gaza e una prospettiva di pace per la regione”. Il governo, spiega Palazzo Chigi, segue “con preoccupazione l’evolversi della situazione, in stretto collegamento con le istituzioni europee e con gli alleati”. Particolare attenzione viene rivolta “alla sicurezza della comunità ebraica presente sul territorio nazionale”. (* Direttore responsabile Assadakah News)
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