Roberto Roggero* - Come è ben noto, la questione Israele-Palestina ha radici profonde, che risalgono a ormai quasi un secolo fa. Una questione ancora irrisolta, estremamente complessa e delicata, dove ogni tipo di sintesi rischia di omettere informazioni. E’ quindi utile, se non necessario, capire la situazione geopolitica con la massima neutralità, sebbene sia evidente la scelta della associazione italo-araba Assadakah in merito, per altro sempre manifesta fin dalla fondazione, nel lontano 1994. Di certo è chiaro che il conflitto fra Israele e Palestina non si combatte solo a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme, ma anche nelle principali capitali del mondo. E’ altrettanto chiaro che per le due parti in lotta è di fondamentale importanza guadagnare appoggi internazionali.
La posizione della comunità internazionale nel conflitto israelo-palestinese è ormai consolidata: Israele gode dell’appoggio degli Stati Uniti e del mondo occidentale; la Palestina è sostenuta dal mondo arabo ed è riconosciuta da buona parte degli Stati del mondo, ma non dispone di un’alleanza con una superpotenza simile al rapporto israelo-statunitense.
Alcune relazioni diplomatiche sono però in evoluzione. Nel 2012 Palestina è stata riconosciuta dall’ONU come “Stato osservatore non membro”; Israele ha migliorato la sua posizione rispetto ai Paesi arabi ed è stato riconosciuto ufficialmente da alcuni di loro. Un altro gruppo di Paesi, tra i quali potenze come Cina e Russia, ha assunto una posizione “mediana”. Vediamo un po’ più nel dettaglio i rapporti internazionali di Israele e Palestina.
Sin dalle origini, il conflitto israelo-palestinese si è inserito in più ampie dinamiche geopolitiche e ha spinto numerosi Paesi a prendere una posizione. Le ragioni sono essenzialmente due: per le due parti in lotta gli appoggi internazionali sono una necessità vitale; molti Stati, tra i quali le principali potenze del mondo, considerano il territorio della Palestina una pedina importante dello scacchiere mediorientale e si lasciano coinvolgere.
Dopo la fondazione dello Stato di Israele (1948), prese avvio una fase di rapporti internazionali piuttosto fluidi, ma gradualmente i protagonisti del conflitto definirono alleanze chiare, che si cristallizzarono dopo Guerra dei sei giorni del 1967: Israele guadagnò il sostegno del blocco occidentale, la Palestina e i Paesi arabi quello dell’URSS e degli Stati socialisti. Le conseguenze si avvertono ancora oggi.
L’elemento cardine della diplomazia di Israele è il rapporto con i Paesi occidentali e, soprattutto, con gli Stati Uniti, che considerano lo Stato ebraico un avamposto dell’Occidente nell’area mediorientale e uno strumento per tenere a freno le ambizioni dei Paesi ostili, come la Siria e l’Iran. Non a caso, gli Stati Uniti sostengono Israele sul piano militare e politico, al punto che nel corso degli anni hanno usato per ben 42 volte il loro potere di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU per bloccare risoluzioni che condannavano lo Stato ebraico. Non sono mancate però alcune frizioni a causa della posizione israeliana verso la questione palestinese.
Anche altri Paesi occidentali appoggiano Israele.
L’Unione Europea, in particolare, mantiene strette relazioni diplomatiche e commerciali con lo Stato ebraico e molti Paesi, fra i quali l’Italia (dove è ufficialmente presente l’ambasciatrice palestinese, anche in assenza di un riconoscimento ufficiale), rientrano tra i partner militari. In alcuni casi i leader europei hanno criticato la politica israeliana verso la Palestina, ma le critiche non hanno danneggiato la cooperazione. La posizione diplomatica, naturalmente, varia a seconda dei singoli Paesi UE. Rispetto alla Francia, per esempio, in passato i rapporti sono stati altalenanti, ma attualmente le relazioni sono strette sia sul piano politico, sia economico. Il principale partner commerciale israeliano in Europa è però la Germania che, superando la diffidenza derivata dall'Olocausto, coltiva relazioni ufficiali con lo Stato ebraico dal 1965. Israele, inoltre, ha stretto rapporti diplomatici e commerciali con quasi tutti i Paesi del mondo, con l’eccezione della maggior parte dei Paesi arabi, di alcuni Stati a maggioranza islamica e di pochi altri casi.
La diplomazia israeliana è agevolata dalla presenza di comunità ebraiche in molti Paesi. Come sappiamo, gli ebrei non vivono solo in Israele, ma sono sparsi in quasi tutto il mondo e sono particolarmente numerosi negli Stati Uniti. È difficile fornire dati precisi, perché esistono diversi criteri per definire chi è ebreo, ma, secondo uno studio del 2020, il numero complessivo (più precisamente, la Core Jewish Population, calcolata con criteri restrittivi) è di poco inferiore ai 15 milioni, dei quali quasi 7 milioni vivono in Israele, circa 6 milioni negli Stati Uniti, e gli altri nel resto del mondo. La comunità ebraica statunitense offre un sostegno costante a Israele e nel 1953 si è dotata di un’organizzazione, l’American-Israel Public Affairs Committee, per spingere le istituzioni statunitensi a sostenere lo Stato ebraico. L’AIPAC, della quale fanno parte anche americani non ebrei, è considerato una delle più potenti lobby degli Stati Uniti ed è particolarmente vicino al Likud, il partito di destra guidato da Benjamin Netanyahu. Non tutti gli ebrei statunitensi, però, sostengono questa linea politica. Anche le comunità ebraiche degli altri Paesi sono in genere schierate a favore di Israele, ma il loro peso politico è minore. (* Direttore responsabile Assadakah News)
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