Roberto Roggero - Un’operazione studiata a tavolino, questo è ormai evidente per quanto riguarda la guerra scatenata da Israele in seguito all’attacco do Hamas del 7 ottobre ’23. Tanto è vero che le immagini della guerra hanno iniziato da subito a circolare sui social media, scatenando il bisogno di nuove informazioni. E sul Web si è aperto un altro fronte di guerra, il conflitto dell’informazione su scala mondiale.
La IDF ha lanciato la rappresaglia, prima bombardando la Striscia di Gaza, poi attraverso un'invasione di terra, e oggi le vittime palestinesi sono già più di 38mila, soprattutto civili, fra cui oltre 18mila bambini. Un genocidio.
Parallelamente il cosiddetto “fronte virtuale” si è consolidato: su Facebook, Instagram, X, TikTok e nelle altre piattaforme social, ognuno cerca di imporre la propria versione. Il conflitto Hamas-Israele non è poi l’unico in cui lo spazio dell’informazione acquisisce importanza sempre crescente: in Iran il governo investe sulle capacità di soft-war per accrescere la propria influenza digitale. Le forze armate statunitensi hanno iniziato a integrare quelle che chiamano “operazioni dell'informazione” nella strategia militare. Anche la Cina investe sulla cosiddetta “guerra cognitiva”, partendo dal presupposto che oggi l’impatto delle informazioni sia sempre più rilevante anche sul campo di battaglia.
Dall’Ucraina al Sudan, i conflitti in cui l’informazione gioca un ruolo centrale seguono schemi simili: una competizione per provocare indignazione, con informazioni spesso non verificate o deliberatamente inventate; disinformazione sul nemico, attraverso la banalizzazione dei suoi argomenti; silenziare l’altra parte sfruttando attacchi alle infrastrutture.
La guerra dell’informazione non è certo una novità, ma negli scontri fra Israele e Hamas ha raggiunto livelli di diffusione come mai prima. Nemmeno durante l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, nel febbraio 2022, erano circolate così tante informazioni in tempo reale su ciò che avveniva sul fronte, e non erano mai state diffuse così tante notizie false.
La guerra dell’informazione non risparmia nessuno, dalla dignità delle vittime innocenti, alla dignità stessa di chi sceglie di svolgere la professione giornalistica secondo il principio della verità. Circolano immagini di bambini senza vita, in realtà generate da programmi di intelligenza artificiale, e altre foto reali date per false, accompagnate da commenti ad hoc e altre che definivano i cadaveri troppo simili a manichini per essere autentici. Causare diffusa reazione di rabbia, questo lo scopo, ma l’emozione da sola non è sufficiente a muovere le opinioni. E’ necessario che una notizia causi indignazione, ad ogni costo, e in tempo di guerra chiunque può sfruttare facilmente il potere della provocazione.
Se, però, la guerra nella Striscia di Gaza non è l’unico conflitto in corso, perché la guerra dell’informazione si è concentrata proprio su questo? Anzitutto perché la violenza ha raggiunto livelli mai toccati prima, con più vittime che quelle registrate durante la drammatica Seconda Intifada, e certamente la determinazione dell’attacco iniziale di Hamas. Qual è quindi l’obiettivo della guerra dell’informazione? O meglio: cui prodest?
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