Assadakah News Agency - L’8 maggio si ricorda San Vittore, detto il Moro o anche Mauro, perché originario della Mauritania, visse nel III secolo. La principale fonte agiografica è Sant’Ambrogio da Milano, che ne parla nell’Explanatio evangelii secundum Lucam e soprattutto nell’Inno in onore dei martiri Vittore, Narbore e Felice, tutti soldati originari della Mauritania, di stanza a Milano all’epoca di Massimiano, che morirono a Lodi in difesa della fede. Quando l’imperatore diede avvio a una delle ultime persecuzioni, Vittore pur affermando la propria fedeltà all’Impero per la sua condotta vita civile e la disciplina militare, rifiutò di abiurare il proprio credo. Negli Atti, che risalgono al VIII secolo, si tramanda che il Santo si rifiutò di continuare a prestare servizio militare.
Trascinato nell’ippodromo del Circo alla presenza di Massimiano Erculeo e del suo consigliere Anulino, rifiutò di tradire la fede nonostante tormenti a cui fu sottoposto, tra cui il supplizio del piombo fuso versatogli nelle piaghe. Benché indebolito riuscì ad evadere, ma dopo breve tempo venne nuovamente catturato e decapitato. La tradizione vuole che il suo corpo fosse lasciato insepolto, e che, ritrovato ancora incorrotto e vegliato da due fiere dal vescovo di Milano, Materno, fu deposto in un sacello. L’arca, per le sue ricche decorazioni a mosaico d’oro, venne poi denominata San Vittore in Ciel d’Oro e oggi è incorporato nella basilica di Sant’Ambrogio.
Il culto di San Vittore ebbe una larga diffusione, soprattutto su impulso di Ambrogio, che volle seppellire accanto a lui il proprio fratello Satiro. Molte chiese furono dedicate al Santo nel capoluogo lombardo: oggi resta, oltre il sacello, la chiesa di San Vittore al Corpo, ma si ricordano anche le scomparse San Vittore al Carcere, San Vittore al Teatro e di San Vittore al Pozzo. È patrono dei detenuti e degli esuli; è raffigurato con la lorica romana, a ricordo della sua vita da soldato romani, con l’attributo della palma e della spada con cui subì il martirio.
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