Patrizia Boi (Assadakah News) - Esther Barroso Sosa è una regista e giornalista cubana nata a L'Avana il 29 gennaio 1968. Si è laureata in Giornalismo presso l'Università dell'Avana nel 1990, con una tesi dedicata al cinema giovane cubano. Ha iniziato la sua carriera come reporter per il canale Islavisión, per poi lavorare al Sistema Informativo della Televisión Cubana, dove ha diretto programmi come il Noticiero del Mediodía. Si è specializzata in temi culturali dal 1995 e attualmente cura programmi come América en la Casa e CubaNoticias: Resumen Semanal per Cubavisión Internacional.
Tra i suoi riconoscimenti, Esther Barroso ha ricevuto il Premio Nazionale di Giornalismo Culturale dalla UNEAC e il Premio Nazionale di Giornalismo Juan Gualberto Gómez. La sua carriera multidisciplinare riflette un impegno profondo nella divulgazione della cultura cubana e internazionale.
Come regista, la Barroso ha realizzato documentari di grande rilevanza culturale, tra cui Mario su Mario Benedetti, Pequeño capitán nuestro su Elián González.
Ultimamente, nell’ambito della XII Edizione del Festival del Cinema Iberoamericano, organizzato dall'Istituto Cervantes di Roma, in collaborazione con diversi altri paesi di lingua spagnola, è stato presentato il 23 novembre 2024 nella sala Cinecittà della Casa del Cinema di Roma - e successivamente il 26 novembre a Palermo nello storico Cinema Rouge et Noir - il suo docufilm Cartas de Calvino, interpretato da Monica Marziota, compositrice e interprete della colonna sonora originale Se la vita fosse solo un libro.
La pellicola è stata girata tra Roma, Sanremo e L’Avana, in omaggio allo scrittore italo-cubano che ha vissuto in ognuna di queste città, ed è una produzione di Cubavision Internacional/Ecce Musica.
Cartas de Calvino, è dedicato alla connessione cubana dello scrittore Italo Calvino ed esplora aspetti inediti della vita di Calvino, combinando realtà e fiction. La Regista ha consultato archivi e collaborato con esperti per approfondire il legame di Calvino con Cuba e il suo lascito letterario.
Le attesissime proiezioni hanno visto la presenza della regista, della protagonista e compositrice, del celebre doppiatore Andrea Mete (la voce del giovane Italo Calvino), e di altri membri del cast, alla presenza dell’Ambasciatrice della Repubblica di Cuba in Italia, S.E. Mirta Granda Averhoff, dell’Ambasciatore della Repubblica di Cuba presso la Santa Sede, S.E. René Juan Mujica Cantelar. In sala c’erano anche molti giornalisti, intellettuali e soprattutto numerosi membri del corpo diplomatico tra i quali, l’Ambasciatrice della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia, S.E. Maria Elena Uzzo, l’Ambasciatrice della Repubblica di Bolivia in Italia, S.E. Sonia Brito Sandoval, l’Ambasciatrice della Repubblica di Bolivia presso la Santa Sede, Teresa Subieta Serrano.
Abbiamo colto l'occasione per fare una Intervista alla Regista Esther Barroso Sosa:
Che cosa ti ha ispirata a creare un documentario su Italo Calvino e come è nata l'idea di esplorare il suo legame con Cuba?
«Non avevo ancora letto nessuna opera di Italo Calvino quando, alla fine degli anni '90, a Cuba venne istituito un Premio Letterario a suo nome. Ho seguito la notizia come giornalista culturale. Fu allora che scoprii che il famoso scrittore italiano era nato nel mio stesso paese natale, Santiago de las Vegas, che appartiene a un municipio dell’Avana. Poco dopo lessi il volume Le due metà di Calvino, dello scrittore e musicologo Helio Orovio, ormai scomparso, anch’egli nato in quel paese e amico mio. Da allora sono rimasta affascinata da questo fatto, che mi sembrava molto singolare.
Questo interesse è cresciuto quando ho scoperto perché Italo era nato presso l’allora Stazione Sperimentale Agronomica di Santiago de las Vegas, un luogo di rilevanza internazionale fin dagli inizi del XX secolo e fino ad oggi (ora con un altro nome: Istituto di Ricerche Fondamentali in Agricoltura Tropicale "Alejandro de Humboldt"). Ma non voglio raccontarlo qui, perché desidero che vediate il film, dove è narrato meglio. Successivamente, mi sono immersa nell’opera letteraria e nella biografia di Italo Calvino, percorsi che hanno finito per farmi innamorare di questo autore. Che fosse stato partigiano, che avesse militato nel Partito Comunista Italiano e poi si fosse dimesso, che il grande amore della sua vita fosse una donna latinoamericana... tutto ciò e altro ancora mi ha catturato.
In tutte le biografie e bibliografie si riportava la sua nascita a Cuba come un fatto accidentale o fortuito, ma io sapevo che non era così. Inoltre, dai tempi dell’università, ho avuto molti legami con la Casa de las Américas, istituzione fondata da una straordinaria donna, Haydee Santamaría. Fu lei a riportare Italo nella sua terra natale nel 1964: su suggerimento dello scrittore argentino Julio Cortázar, lo invitò a far parte della giuria del prestigioso Premio Letterario che questa istituzione promuove da oltre sei decenni. Tutto ciò ribolliva dentro di me, ma il mio legame con il mio paese natale e con lo spazio naturale e spirituale della Stazione, dove lo scrittore è nato, sono stati determinanti».
Il film è stato girato a Roma, Sanremo e L'Avana, le città di Calvino. Qual è l'importanza della connessione tra queste tre città nella storia?
«Il film è stato girato esattamente in quest’ordine, e il documentario si svolge così. Ma nella vita di Italo Calvino è stato l’inverso. Certo, ci sono state altre città importanti nella vita dell’autore, incluse quelle "invisibili" da lui create. Ma mi interessavano soprattutto L'Avana e Sanremo per la continuità tra le due città nella vita della famiglia Calvino-Mameli. Il giardino come metafora, tienilo presente, nel mio documentario è un’espressione di questa connessione. E Roma, oltre a essere la città dove Italo ha vissuto i suoi ultimi anni, rappresenta l’ambiente della mia protagonista, Monica, una ragazza che desidera trovare un filo che la leghi allo scrittore e che la riconcili con la sua terra natale, Cuba».
Come hai bilanciato gli elementi di realtà e finzione per narrare la vita di Calvino? Quali sfide hai incontrato in questo processo?
«Non posso dire di aver narrato la vita di Calvino, ma soltanto la sua nascita cubana e il suo ritorno sull’isola. Questo era ciò che mi interessava, per le ragioni già dette e anche perché è la parte meno conosciuta della sua esistenza, forse perché per i suoi lettori e studiosi non è così importante. Ma per i ricercatori e gli amanti cubani della letteratura, sì lo è.
La finzione è un pretesto per raccontare questa parte della vita dello scrittore, e l’ho concepita come un modo per allearmi con il fantastico che attraversa gran parte dell’opera letteraria calviniana. Da qui, le lettere che sembrano essere scritte da Italo a Monica da una dimensione sconosciuta. Ma quelle frasi sono reali: Italo le ha dette o scritte in momenti diversi della sua vita.
Ho amato il processo creativo. La sfida più grande è stata mantenere l’accuratezza, non cambiare nessuna delle sue parole e far sì che la selezione dei testi fosse coerente con la costruzione della mia storia, affinché quelle lettere spingessero Monica a prendere decisioni, muoversi, seguire un percorso e, infine, raggiungere il suo obiettivo.
Inoltre, come lettrice, il genere epistolare mi ha sempre affascinato. Mi dispiace che stia scomparendo. La corrispondenza tra grandi creatori, o tra questi e i loro cari, amici o persino nemici, ha permesso di registrare le più belle, luminose e intense testimonianze di vita. L’uso delle lettere nel mio documentario è quindi un veicolo narrativo, ma anche un omaggio a quel lascito letterario dell’umanità».
«Il film è una coproduzione tra Cubavisión Internacional ed Ecce Musica. Com'è stato lavorare in un contesto internazionale con contributi da diversi paesi?
«È stata davvero una grande sfida. Abbiamo lavorato con un budget precario, facendo un "cinema povero", come lo ha definito il regista cubano Humberto Solás. Cito le sue parole: la nostra "economia è stata molto limitata", ma abbiamo cercato di "combinare il nostro talento con l'immaginazione".
Il canale Cubavisión Internacional ci ha dato un contributo iniziale che ci ha permesso di partire. Poi, il sostegno di Ecce Musica e dell'Associazione Italiana per lo Scambio Culturale ed Economico con Cuba è stato decisivo per andare avanti.
Ma niente di tutto ciò sarebbe stato possibile senza l'aiuto delle nostre famiglie, sia la mia che quella di Monica Marziota. Per fare qualche esempio, mi sembra giusto dire che mia figlia maggiore e il suo fidanzato, che sono documentaristi con grande esperienza, si sono occupati della fotografia e del suono a Roma e a Sanremo. Mia figlia minore ha assunto i ruoli di assistente di produzione e operatrice a L'Avana. La madre di Monica è stata la produttrice esecutiva. E il resto del team ha lavorato soprattutto per amore del progetto».
Come è stata coinvolta Monica Marziota nel progetto? Cosa ti ha convinto a sceglierla come protagonista e interprete della colonna sonora?
«Monica e sua madre conoscevano questo progetto da molti anni. Quando si avvicinava il centenario di Italo Calvino (parliamo del 15 ottobre 2024), mi hanno incoraggiata a riprenderlo in mano e si sono impegnate a sostenermi. Come cantante e compositrice, Monica si è subito offerta di creare la musica originale per il documentario.
Da lì è iniziato uno scambio, e a un certo punto ho visualizzato l’idea che Monica, che ha grandi qualità attoriali, potesse essere qualcosa di più della creatrice della colonna sonora. Insieme abbiamo concepito il soggetto che la coinvolge come personaggio.
Avevo già avuto un'esperienza simile con il mio documentario Nuestra Haydee del 2015, in cui una giovane narra la storia, ma lì funzionava come mio alter ego, una donna che vuole conoscere e comprendere un'altra donna: Haydee Santamaría, che ho già menzionato in questa intervista.
In Cartas de Calvino, invece, Monica interpreta se stessa: una giovane cubano-italiana che vuole rendere omaggio a Italo Calvino attraverso ciò che sa fare meglio: cantare. Tuttavia, si trova in un momento particolare della sua vita, post-pandemia e all'inizio della sua maternità, in cui l’indagine sulle origini dello scrittore la porta a confrontarsi con il riconoscimento delle sue stesse radici».
Italo Calvino è noto soprattutto per il suo legame con l’Italia. Quali aspetti della sua relazione con Cuba credi siano meno conosciuti e che meritino maggiore attenzione?
«Oltre a quelli già menzionati, legati alla sua nascita a L’Avana e al suo ritorno a Cuba nel 1964, Italo Calvino mantenne un'amicizia con diversi intellettuali cubani e, attraverso la casa editrice Einaudi, svolse un lavoro di promozione della letteratura cubana degli anni '60. Questo fu fondamentale per inserire quella produzione nel contesto letterario europeo».
Qual è il messaggio principale per il pubblico che guarda Cartas de Calvino?
«Penso che ogni spettatore abbia una propria lettura personale di un'opera, e questo è qualcosa di molto rispettabile. Anche ogni regista cerca di trasmettere un messaggio. La mia intenzione principale è raccontare questo aspetto cubano di Italo Calvino, fare un viaggio verso le sue radici cubane.
Ma ho anche voluto proporre, in questi tempi di sradicamento e di esodi nel mio paese, una riflessione sottile su ciò che ci unisce o meno alla terra natale, a quello spazio primario della nascita che non scegliamo, ma che inevitabilmente fa parte di ognuno di noi. Oltre all’omaggio a Calvino, questa seconda possibile lettura ha per me grande rilevanza».
La musica gioca un ruolo fondamentale nel film. Come si è sviluppata la colonna sonora originale Se la vita fosse solo un libro?
«Sia Monica Marziota che io sapevamo che la musica occupava un posto speciale nella vita di questo scrittore, non perché la studiasse, ma per le amicizie che coltivò con artisti di questa disciplina e per le sue collaborazioni con vari progetti musicali. Quindi, l’idea di rendergli omaggio con una canzone non era affatto insensata. Monica ha ideato la musica man mano che giravamo.
Per me, i suoni delle tre città e degli ambienti in cui la protagonista e i testimoni si muovono lungo il film dovevano far parte della colonna sonora. Monica lo ha capito e lo ha accolto in questo modo. Per questo, anche se il documentario segue gli sforzi di Monica per creare il suo pezzo musicale, il suono diretto ha una presenza essenziale.
Ma il fatto straordinario è che ciò che si vede nel film è esattamente ciò che è accaduto nella realtà: Monica ha trovato l’ispirazione finale per creare tutta la musica, e soprattutto il tema principale Se la vita fosse solo un libro, solo quando ha finalmente raggiunto il luogo preciso dove Eva Mameli ha dato alla luce il suo primo figlio, Italo. Quel luogo è lo spazio occupato dalla casa del direttore della Stazione, Mario Calvino, a Santiago de las Vegas, che fu distrutta da un ciclone nel 1926».
Dopo le proiezioni a Roma e Palermo, qual è stata la reazione del pubblico, specialmente tra i diplomatici e gli intellettuali presenti?
«Molte persone si sono avvicinate per congratularsi con me e per condividere le loro impressioni. Anche a Trieste, giovani studenti di letteratura hanno dialogato con Monica e con la produttrice Carmen Oria Valdés, nel contesto del Festival del Cinema Ibero-Latinoamericano.
E in tutti i casi c’è un’idea comune: pur essendo Italo Calvino uno scrittore così noto nel suo paese, nessuno di quegli spettatori conosceva il suo legame con Cuba».
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