Abdul Nasser Abou Aoun (corrispondente Assadakah) - Il quotidiano ebraico Maariv ha riferito che 46.000 aziende israeliane hanno chiuso i battenti dallo scoppio della guerra il 7 ottobre, e si prevede che il numero salirà a 60.000 aziende entro la fine di quest'anno. Il quotidiano scrive in un articolo: “Dall'inizio della guerra sono state chiuse 46.000 aziende, secondo la società di informazioni commerciali Coface Bdi, che da 35 anni fornisce informazioni aziendali per la gestione del rischio di credito e lavora per analizzare e classificare tutte aziende e istituzioni nell’economia israeliana”.
Secondo quanto riporta Associated Press, i ristoranti e i negozi restano vuoti, le compagnie aeree hanno cancellato la maggior parte dei voli per Israele e i turisti sono in fuga. Una delle conseguenze più evidenti del conflitto è l'evacuazione di massa di civili dalle comunità lungo il confine di Gaza a sud e dal confine libanese a nord. Oltre 126.000 persone sono state costrette a lasciare le proprie case e vengono ospitate in alberghi, centri comunitari e altre strutture in tutto il Paese.
A causa della mancanza improvvisa di manodopera nei territori più colpiti da Hamas, e con migliaia di immigrati palestinesi con permesso di lavoro che ora temono per la propria vita, molte aziende agricole sono andate in malora e al momento si contano oltre 60mila lavoratori sono in congedo non retribuito.
Già prima dello scoppio del conflitto, l'economia israeliana non se la passava bene: preoccupava l'indebolimento del sistema giudiziario e le continue crisi di governo, a cui si aggiungevano l'aumento dell'inflazione post-Covid e a un rallentamento degli investimenti nel settore tecnologico, che rappresenta il 48% delle esportazioni del paese. La guerra ha ulteriormente aggravato le difficoltà, con un crollo degli investimenti del 61% nelle startup e un impatto significativo sulle imprese hi-tech della chiamata alle armi di migliaia di programmatori e impiegati specializzati.
La guerra ha messo a dura prova lo shekel, la moneta nazionale, ai minimi da 14 anni e in preda a uno dei periodi più intensi di volatilità della sua storia. La banca centrale in Israele ha adottato misure senza precedenti per contrastare la svalutazione, iniettando miliardi di euro nel mercato, ma senza grandi risultati. Sul fronte del mercato azionario, l'indice principale della Borsa di Tel Aviv, il TA-35, è sceso di quasi il 20% rispetto ai massimi. Inoltre, il settore immobiliare, già in difficoltà a causa dei tassi di interesse elevati, è sull'orlo del collasso.
Il costo giornaliero della guerra ha ormai raggiunto i 94 milioni di dollari. La guerra a Gaza è costata finora all’entità circa 250 miliardi di shekel, soprattutto in termini di munizioni, giorni di riserva e pagamenti agli sfollati.
La più grande banca israeliana, Hapoalim, prevede una contrazione economica effettiva dell’1%, mentre le stime della seconda banca israeliana in termini di dimensioni, Leumi, prevedono una crescita dell’1,5%, che è tuttavia una contrazione implicita.
E' aumentato il deficit di bilancio generale, che alla fine di aprile ha raggiunto il 7% dell’entità del prodotto generale, ovvero 140 miliardi di shekel, che equivalgono a circa 38 miliardi di dollari. Si prevedeva un aumento del deficit a fine maggio ad una percentuale più alta di prima. Ecco cosa è successo: nel mese di maggio è salito al 7,2%, e quest’anno potrebbe raggiungere l’8%. Se la guerra continua fino alla fine del 2024 si prevede una contrazione fino all’1,5%. Il costo stimato della follia israeliana è di oltre 56 miliardi di dollari.
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