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Iraq – Vent’anni fa l’invasione americana

Assadakah News Agency - Era il 20 marzo 2003 quando le forze armate della coalizione internazionale a guida USA invadevano l’Iraq, ufficialmente con lo scopo di abbattere il regime di Saddam Hussein, scatenando una guerra durata fino al dicembre 2011, il cui prezzo è stato pagato, e continua ad essere pagato, dalla popolazione.

Gli storici sono concordi nel definire questo conflitto come uno dei più fallimentari della storia, le cui conseguenze sono ancora oggi visibili, nonostante la volontà degli iracheni di riprendere il controllo del proprio destino. Una guerra scatenata 20 anni fa, ma le cui origini sono da ricercare negli avvenimenti di almeno altri 20 anni prima, quando lo steso Saddam Hussein che doveva essere cacciato, era invece sostenuto dagli stessi Stati Uniti, e da altri governi occidentali, nella contesa con l’Iran, e nella guerra del 1980-88, terminata senza vincitori e vinti, poiché allo stesso tempo Washington perseguiva una politica tesa a logorare entrambi gli schieramenti. Nel ’90 ebbe inizio la Prima Guerra del Golfo, terminata l’anno seguente, con la liberazione del Kuwait da parte degli Stati Uniti, guidati George Bush senior. In quell’occasione si sfiorò l’invasione dell’Iraq, ma il presidente americano decise infine per una politica di contenimento, con sanzioni economiche, basi USA nei Paesi vicini e imposizione di no-fly zone. Successivamente agli attentati dell’11 settembre, il presidente George W. Bush jr, coordinato da elementi senza scrupoli, rimo fra tutti il vice-presidente Dick Cheney, indirizzò la paura e l’insicurezza del popolo statunitense verso il conflitto, dando vita alla guerra globale contro il terrorismo, basata sull’intervento preventivo.

Meno di un mese dopo, gli USA invasero l’Afghanistan dei talebani, ai quali recentemente, dopo una devastante guerra, la più lunga mai affrontata dagli Stati Uniti, il Paese è stato praticamente riconsegnato. I pretesti costruiti dagli Stati Uniti, per esportare una democrazia dai piedi di argilla sono oggi storia nota, come quelle del settembre 2002, quando il governo inglese di Tony Blair, e quello statunitense, presentarono il “Dossier Iraq”, secondo il quale Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa ed era pronto a utilizzarle.

Naturalmente non c’è dubbio che l’Iraq, la Regione e il mondo intero, si trovano in condizioni migliori senza un dittatore come fu Saddam Hussein, ma le problematiche che gli Stati Uniti avrebbero dovuto risolvere, sono oggi tali e quali, nonostante la disastrosa operazione “Iraqi Freedom”, che avrebbe dovuto essere una guerra-lampo e fu invece uno dei conflitti più sanguinosi degli ultimi decenni, con oltre 300mila morti, e comprovate violazioni dei diritti umani compiuti proprio dalle forze americane. Un grande contributo alle indagini sulla guerra in Iraq è da attribuire al lavoro di Julian Assange, che ha mostrato al mondo le prove di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani in Iraq, e oggi sta pagando per avere fatto conoscere al mondo la verità con la diffusione dei cosiddetti “Iraq War Logs”, oltre 400.000 documenti classificati. Oggi l’Iraq, a 20 anni da quella guerra, sta percorrendo una difficile strada per la ripresa, la rinascita e la stabilità che senza dubbio merita dopo un periodo drammatico, soprattutto per la popolazione che è stata vittima di interessi politici e geopolitici stranieri.

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