Assadakah Baghdad – Il presidente del parlamento iracheno ha annunciato che è stato riavviato il programma elettorale per la nomina del nuovo presidente della repubblica, e ha precisato che le candidature verranno riaperte per un periodo di tre giorni. La mossa fa seguito a quanto accaduto il 7 febbraio, giorno in cui diversi partiti iracheni, tra cui il Movimento sadrista, il blocco sunnita e il Partito Democratico del Kurdistan (PDK), hanno boicottato la sessione volta a eleggere un nuovo capo di Stato, impedendo di raggiungere il quorum necessario per procedere con le operazioni di voto, pari a due terzi dei parlamentari. In particolare, su un totale di 329 membri, solo 58 deputati si sono presentati in Parlamento. L’obiettivo del boicottaggio sarebbe stato quello di completare dapprima trattative con altri blocchi politici iracheni e raggiungere un consenso maggiore sulla personalità da nominare.
A circa quattro mesi dalle elezioni legislative anticipate, tenutesi il 10 ottobre 2021, la speranza è che si superi la fase di stallo e si possa proseguire con la nomina di un presidente, il quale, a sua volta, chiederà al blocco parlamentare più numeroso di formare un governo. Secondo il sistema di governo iracheno, in vigore dal 2005, ovvero da quando è stata adottata la Costituzione post-Saddam Hussein, il ruolo di presidente del Paese è ricoperto da un esponente curdo ed è proprio all’interno di tale componente che si sono svolte le discussioni delle ultime settimane.
Da un lato, l’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK), attualmente guidata da Bafel Talabani, ha insistito sul rinnovo del mandato del presidente in carica, Barham Salih, mentre, dall’altro lato, il Partito Democratico del Kurdistan (PDK), guidato da Massoud Barzani, ha proposto l’ex ministro degli Esteri, Hoshyar Zebari, come candidato alla presidenza. Tuttavia, alla vigilia della sessione di voto, il 6 febbraio, la Corte suprema dell’Iraq ha momentaneamente sospeso la candidatura di Zebari, coinvolto in casi di corruzione finanziaria e amministrativa. Pertanto, secondo fonti definite “informate”, il PDK starebbe attualmente valutando la candidatura del ministro degli Esteri, Fuad Hussein, in attesa della decisione della Corte suprema. Ad ogni modo, si tratterebbe di un “candidato di riserva”, che dovrà gareggiare con altri 24 contendenti.
Nel frattempo, Muqtada al-Sadr, il vincitore delle elezioni di ottobre 2021, ha incontrato, l’8 febbraio, il generale iraniano Ismail Qaani, comandante della Quds Force, forza speciale del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Qaani, in realtà, si era già recato in Iraq il 17 gennaio scorso con l’obiettivo di unificare “le posizioni della casa sciita” e discutere della formazione di un’alleanza che includa tutti i partiti politici sciiti, molti dei quali usciti sconfitti all’ultima tornata elettorale. Da parte sua, al-Sadr, come ribadito l’8 febbraio stesso, mira a formare un governo di “maggioranza nazionale”, rappresentativo dei vincitori delle elezioni parlamentari e lontano da forme di ingerenza da parte di Washington e Teheran. Tale ipotesi è respinta dal cosiddetto “Quadro di coordinamento sciita”, il quale, invece, preferirebbe un “governo di consenso” in cui possano partecipare tutti, perdenti sciiti inclusi.
Alle ultime elezioni, Muqtada al-Sadr, a capo della coalizione Sairoon, ha ottenuto 73 seggi, su un totale di 329, seguito dalla coalizione sunnita “Taqaddum”, guidata dal presidente del Parlamento iracheno, al-Halbousi, la quale ha ottenuto 37 seggi. Le due coalizioni sono state seguite da “Stato di diritto”, a cui sono stati assegnati 33 seggi. Per quanto riguarda Fatah, coalizione guidata da Hadi al-Amiri, capo dell’organizzazione Badr, affiliata alle Forze di Mobilitazione Popolare, questa ha ottenuto 17 seggi, il che ha rappresentato un forte calo rispetto alle elezioni del 12 maggio 2018, quando Fatah ottenne 48 seggi, costituendo il secondo maggiore blocco in Parlamento. Una situazione simile ha portato i gruppi “perdenti” a scendere in piazza per settimane per respingere l’esito delle elezioni e denunciare quella che è stata definita una “manomissione dei voti da parte di mani straniere”, nel “Quadro di coordinamento delle forze sciite”.
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