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Immagine del redattoreMarwa Elkhayal

In udienza dal Papa per chiedere verità e giustizia per le vittime dell'esplosione al porto di Beirut


Assadakah News Agency Roma.

Il 3 settembre scorso presso la sede dell'associazione Mameli 7 di Roma si è svolto un commovente incontro con Pierre Gemayel, avvocato e fratello di Jacques, deceduto nella tragica esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020. L'avvocato Gemayel è stato invitato dall'associazione italo-libanese Annas Linnas a portare la propria testimonianza in quanto il 26 agosto, assieme ad una delegazione di familiari delle vittime, ha incontrato il Santo Padre ed il Segretario di Stato Cardinal Parolin in Vaticano.

Davanti ad un pubblico attento e interessato Elisa Gestri, fotoreporter, e padre Abdo Raad, responsabile di Annas Linnas, hanno interloquito con l'ospite per un'ora densa di commozione, in cui è stato rievocato quel tragico giorno.





«La nostra casa è vicina al porto e tutta la mia famiglia si trovava lì il pomeriggio del 4 agosto 2020. Solo io ero fuori per lavoro» ha esordito Gemayel. « Mi trovavo in un'altra zona di Beirut e mentre aspettavo di recarmi ad un appuntamento mi sono fermato un attimo a pregare nella chiesa di Saydat al Maounat, Nostra Signora dei Soccorsi, a Zouk Mikael. Quando ho sentito l'esplosione, ho pensato a un attentato a quella stessa chiesa; del resto, era già successo nel 1994. Poi mi hanno chiamato, sono corso verso casa e ho cominciato a capire». Rievocando il trauma che gli ha segnato la vita, l'avvocato Gemayel non ha nascosto la commozione: «Ho visto scene inimmaginabili anche nei peggiori film horror. I miei due fratelli, Yousef e Jacques, feriti gravemente, sono stati ricoverati in due ospedali diversi. Con l'altro mio fratello, Tony, ci siamo divisi i compiti: lui è andato a trovare Yousef, io sono andato da Jacques. All'Hotel Dieu, quando sono arrivato, regnava il caos più assoluto perché anche l'ospedale era stato colpito. Morti e feriti, sangue e disperazione ovunque. In corridoio erano allineate barelle coperte da lenzuoli da cui spuntavano sei piedi : non avevano abbastanza posto per tutte le salme. E anche Jacques era tra loro». Con grande commozione, ma anche con la lucidità di chi sa di essere nel giusto, l'avvocato Gemayel ha spiegato lo scopo del viaggio dei familiari delle vittime a Roma.



« E' la mia quarta visita in Italia, ma stavolta sono qui per chiedere al Santo Padre verità e giustizia per moi fratello, per tutti i nostri cari. La nostra visita al Papa ha avuto anche lo scopo di far sapere al nostro governo : cari signori, poco importa quello che fate o non fate voi, noi vogliamo la verità e in questa ricerca non siamo soli. Non stiamo chiedendo l'elemosina, ma un nostro diritto, quello di avere giustizia. Siamo qui per alzare la voce, cercare aiuto presso i governanti dei Paesi del Primo Mondo. Ad esempio, ad oggi nessun Paese ha voluto fornirci le immagini satellitari di quel giorno. Perché? Sappiamo che molti Paesi le hanno, datecele, datele alle istituzioni libanesi e aiutateci a vincere la nostra battaglia. Perché siamo sicuri » ha concluso, accolto dall'applauso caloroso degli astanti, « che un giorno avremo giustizia».

Hanno presenziato, tra gli altri, il fotografo e giornalista Mohamed Youssef Ismail, che ha porto all'ospite alcune domande per conto della stampa egiziana, e Alfonso Fabio Larena, presidente dell'associazione Mameli 7 e anfitrione della serata. Dopo l'incontro è seguito un momento conviviale a base di cibo libanese in onore del graditissimo ospite.


marwa elkhyal


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