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Il traffico illegale di opere d'arte

Roberto Roggero - Statue funerarie e molti altri tesori anche di ragguardevoli dimensioni, in mostra a Parigi, che mostra anche il traffico illegale di beni archeologici, culturali e storico-artistici e il contrasto degli organismi competenti. Come l’opera greca del 5° secolo a.C. che raffigura una donna con abito finemente drappeggiato, che pare essere “in vendita” a 150mila euro, proveniente da una “collezione privata” e trafugata in Cirenaica nel 2012. E’ un pezzo rimasto di tre, delle altre pare si siano perse le tracce.

Con una provenienza meglio identificata, in futuro la statua della donna seduta potrebbe essere messa all’asta e venduta anche per milioni di euro. Ma le gallerie d’arte e le case d’asta devono affrontare archeologhi che lavorano anche come investigatori e segnalatori di frodi. In Siria il traffico di opere d’arte ha direttamente finanziato l’attività terroristica, e per questo si parla di “antichità insanguinate”, sottratte da siti archeologici, purtroppo su commissione di elargitori anonimi, trafficanti del mercato clandestino, e fino a musei e case d’asta. Questa zona grigia, ancora estremamente opaca, parte di solito dalle regioni più instabili del Medio Oriente, fra le più ricche al mondo da un punto di vista archeologico. Dopo le rivoluzioni arabe il traffico di beni culturali è cresciuto esponenzialmente.

L’instabilità politica agevola il saccheggio, tanto più che in molti casi gli scavi sono stati abbandonati dalle missioni archeologiche occidentali per motivi di sicurezza. L’incremento dell’attività di saccheggio dei siti storici è legato anche all’ascesa dello Stato Islamico, Isis o Daesh che sia. L’organizzazione terrorista ha perfino creato un servizio dedicato specificamente al traffico di antichità: il Diwan al-Rikaz, che concede i permessi e impone una tassa sulle operazioni di scavo. Piccole statuette di pietra potevano essere vendute anche a 10mila dollari l’una, per arrivare alle case d’asta europee dopo essere passate nelle mani degli intermediari.

Anche la Libia e l’Egitto sono in prima linea, e lo Yemen è caduto anch’esso vittima di questa attività illecita. I saccheggiatori sono pagati una miseria e gli oggetti partono immediatamente per l’estero con la complicità di funzionari del governo, solitamente diretti a Dubai, dove fra i più noti intermediari ci sono il giordano Hussam Zurqieh e l’iraniano Hassan Fazeli.

In una seconda fase gli intermediari smaltiscono gli oggetti nelle case d’asta e nelle gallerie occidentali. Di solito passano tra i cinque e i dieci anni prima che un’opera saccheggiata sia messa in vendita, nel frattempo bisogna tenerla nascosta e mascherarne la provenienza. Pare che fra le opere segnalate, provenienti da Palmyra, diverse siano custodite nei caveau di Ginevra. A contrastare questo sistema c’è l’ostinazione di alcuni archeologi alla ricerca delle opere saccheggiate, che collaborano con le organizzazioni di polizia internazionale.

La sproporzione fra le opere trafugate e quelle recuperate è parecchio sbilanciata, quindi viene da chiedersi perché la giustizia è ancora così titubante davanti all’aumento del traffico di beni culturali? I meccanismi che ne frenano l’attività sono molteplici, a cominciare dalla difficile applicazione della convenzione dell’Unesco. La convenzione vincola solo i paesi che l’hanno sottoscritta.

I ricercatori chiedono una mobilitazione politica, creando un consiglio interministeriale coinvolgendo quattro ministeri: Esteri, Interni, Ricerca e Cultura, con un maggiore monitoraggio del territorio e dei canali illegali, ovviamente maggiori risorse, e capacità di intervento. (fonte: https://www.facebook.com/NO-MANS-LAND-News)

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