Roberto Roggero - Sono in corso da questa mattina, nella capitale egiziana, i colloqui fra i portavoce di Hamas e, a quanto pare, l’inviato di punta si Israele, il capo del Mossad, David Barnea, che non è ancora arrivato al Cairo. Si procede sulla lama di un rasoio, soprattutto per la tensione creata dall’attesa della risposta del governo israeliano alla proposta mediata dall’Egitto. Attesa principalmente per il segnale positivo che avrebbe l’arrivo in Egitto degli inviati israeliani, probabilmente al seguito dello stesso Barnea.
Fonti egiziane avrebbero rivelato media del Qatar “Al Araby” che in effetti la situazione si sbloccherebbe se Tel Aviv decidesse in senso positivo. Da parte di Hamas, la dichiarazione che “se la delegazione palestinese è al Cairo è per proseguire i negoziati, e comunque non per un accordo definitivo ma per un negoziato, che dipende solo dalla risposta israeliana”.
Una trattativa delicata e difficile, in corso da anni, per cui gli analisti non esprimono molta fiducia in merito, soprattutto dopo i continui annunci di un attacco contro Rafah. Da non trascurare la presenza al Cairo di William Burns, capo della CIA.
Se le speranze esistono comunque, è anche vero che le basi non appaiono così solide come dovrebbero, alla luce delle passate esperienze storiche.
Il nodo principale sono le garanzie richieste da Hamas sulla fine della guerra, un cessate il fuoco permanente, che nella bozza non era esplicitamente previsto. Israele ribadisce di non volere accettare la fine alla guerra come parte di un accordo per il rilascio degli ostaggi, in quanto l’obiettivo rimane l’annientamento di Hamas, quadro in cui è inserita la prevista operazione a Rafah. Altre indiscrezioni rivelano che Hamas rinuncerebbe a un immediato cessate-il-fuoco permanente e accetterebbe una tregua temporanea, discutendo nel frattempo una seconda fase dell’accordo.
La pressione è certamente palpabile, anche perché la partita ha molte riprese, fra cui il segretario di Stato USA, Antony Blinken, che ripropone l’accordo con l’Arabia Saudita, in chiave anti iraniana e come garanzia di sicurezza per Israele, ma solo a tregua stabilita a Gaza. Parte in causa che non bisogna dimenticare, è anche Hezbollah e la sicurezza nel Sud Libano.
Fra le condizioni che sarebbero state poste per un accordo, la eventuale espulsione del comitato direttivo di Hamas che si trova in Qatar.
Una situazione che il governo israeliano sente per altro sotto non indifferenti pressioni della Corte Penale Internazionale, che sta valutando l’accusa di crimini di guerra nei confronti di Benjamin Netanyahu. Per altro, un accordo rimane anche l’unica possibilità di salvare gli ostaggi, questo è ormai evidente. Come evidente è il fatato che Israele non potrà mai annientare Hamas, un fatto che si ostina a non accettare, e a on denunciare ingenti perdite ostinatamente tenute segrete, ma non così difficili da calcolare. In somma, a conti fatti, la prospettiva è che l’accordo è vicino, ma è lontano…
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