Assadakah Beirut - Una nuova dimostrazione delle intenzioni studiate a tavolino da Israele, per quanto riguarda modi, tempi e obiettivi relativi allo sterminio in atto nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania: operazioni militari ferme per il mese sacro di Ramadan, giusto il tempo di pianificare ulteriori massacri, concedendo il tempo di celebrare le festività, e riprendere al termine del periodo prestabilito. Oppure potrebbe significare che anche Israele ha bisogno di una pausa di riflessione, per leccarsi ferite non previste in quella che doveva essere una rapida soluzione e che invece si è rivelata una palude si sabbie mobili.
Di fatto, l’annuncio del presidente americano Biden è ufficiale, in base a un accordo di tregua ancora in fase di definizione ma comunque deciso, per quanto riguarda il periodo dal 10 marzo al 10 aprile.
Il mese di Ramadan dura 29 o 30 giorni e il periodo in cui cade varia ogni anno, a seconda del calendario lunare, di circa 10 o 11 giorni più corto rispetto al calendario gregoriano comunemente usato.
Vi è poi la questione di Rafah, ora compresa fra gli obiettivi sensibili dagli israeliani, nell’offensiva per arrivare alla vittoria totale in poche settimane. Verso il confine con l’Egitto sta ammassato un milione e mezzo di persone, sfollati interni che prima hanno dovuto abbandonare le case e adesso lasciare le tende tirate su con quel che hanno potuto trovare, i palestinesi uccisi sono quasi 30mila.
Migliaia di famiglie sono ritornate al nord, devastato dai bombardamenti e ormai nel caos: le Nazioni Unite hanno sospeso la distribuzione di aiuti dopo gli assalti ai convogli da parte della popolazione affamata. L’aviazione giordana ha lanciato pacchi di soccorso lungo la costa e gli israeliani hanno aperto un valico più vicino a queste aree. I disordini dimostrano che la gestione civile dei 363 km quadrati deve essere organizzata anche prima della fine del conflitto e in modo meno vago che nel piano presentato venerdì scorso dal primo ministro per delineare l’amministrazione del dopoguerra. Nel documento non è menzionata l’Autorità palestinese che comunque sembra prepararsi a un ruolo: il premier Mohamed Shtaye ha presentato le dimissioni e al suo posto dovrebbe subentrare una coalizione di tecnocrati che dia il via alle riforme come chiedono gli americani. In realtà il presidente Abu Mazen sembra non voglia nominare i nuovi ministri fino a quando è in corso l’operazione militare. Soprattutto come capo del governo pensa a Mohamed Mustafa, non sarebbe un segnale di grandi cambiamenti futuri.
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