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Gaza, Libano, Medio Oriente: Assadakah incontra Talal Khrais

Assadakah News Agency - Giornalista di ultradecennale esperienza, corrispondente in Italia per la National News Agency, responsabile per le relazioni internazionali della associazione italo-araba Assadakah, ma soprattutto nato e cresciuto in Libano, nel Medio Oriente oggi ancora preda di instabilità e guerre. Assadakah News Agency incontra Talal Khrais per fare il punto sulla situazione.

Un mese di tregua e rilascio degli ostaggi, con altre proposte che sono al momento di in discussione fra Israele e Hamas, che chiede la liberazione di tre prigionieri palestinesi per ogni ostaggio israeliano, libero afflusso di aiuto umanitari e evacuazione dell’esercito israeliano dalle zone più popolose della Striscia. E’ questa la notizia dell’ultima ora, mentre proseguono le operazioni delle forze di occupazione israeliane, e a Parigi si sta discutendo con la mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti.

Qual è al momento la situazione sul campo, a Gaza e anche al confine fra Israele e il tuo Paese, il Libano, detto da te che hai contatti diretti sul posto?

Prima di tutto devo dire una cosa importante: in Occidente si sta considerando quasi esclusivamente la questione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, mentre il mondo arabo vede una occupazione militare che dura da circa 75 anni, che tiene in ostaggio un intero popolo, privato di acqua, energia elettrica, delle proprie terre, che vede le proprie case rase al suolo, i figli arrestati e incarcerati senza accusa, i bambini uccisi solo perché giocano vicino ai reticolati, e molto altro ancora. E con il territorio che le Risoluzioni ONU hanno decretato come destinato alla nascita dello Stato Palestinese, invaso dagli insediamenti illegali israeliani. Per il resto, l’obiettivo di Hamas non è un mistero: mettere fine all’occupazione sionista e liberare le migliaia di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Con tutto il rispetto per gli ostaggi israeliani, bisogna considerare che gli ostaggi palestinesi nelle prigioni israeliane sono oltre 6.500, compresi anziani, donne e bambini.

A questo punto, Israele è costretto a trattare con Hamas, e la storia si ripete, come nel 2006, quando in seguito a un attentato di Hezbollah contro alcuni militari israeliani, da Tel Aviv è immediatamente giunto ordine di attaccare e annientare Hezbollah per riavere le salme di due soldati. Così le truppe israeliane hanno invaso e devastato il Libano, e alla fine sono state cacciate fuori dal Libano con una sonora umiliazione, Hezbollah non è stato distrutto e anzi è forte come mai prima, con un arsenale di circa 250mila razzi e armamenti di vario tipo, e per riavere i corpi dei due soldati, Israele ha dovuto liberare 450 prigionieri libanesi e palestinesi.

La situazione in questo momento a Gaza non favorisce certo né Israele, né soprattutto la popolazione palestinese, e Hamas vuole arrivare a una tregua, ma non perché non sia in grado di combattere, ma per alleviare le sofferenze della gente di Gaza. Secondo le ultime informazioni, Hamas è in grado di combattere ancora attivamente per almeno sei mesi, e può insistere con lancio di missili anche dalle zone occupate. Su terreno, le truppe israeliane sono state costrette a ritirarsi da alcune zone chiave a nord di Gaza perché hanno fallito nei tentativi di penetrazione. L’esercito israeliano ha già lasciato a Gaza oltre 1.160 mezzi fra carri armati e blindati. Secondo un rapido calcolo, considerando che in un mezzo ci sono almeno due soldati, dovrebbero avere perso almeno 2.500 uomini, ma le cifre sulle perdite delle truppe di occupazione sono tenute riservatissime, ed è un segno evidente che non sono quelle comunicate ufficialmente”.

I palestinesi sono decisi a resistere quindi…

Assolutamente. Combattono per le proprie famiglie, le proprie case, la loro terra, il futuro, e sono motivazioni che non possono essere sconfitte. I palestinesi resisteranno come fanno da oltre mezzo secolo. Non hanno altra scelta, non possono andare via come potrebbero fare i coloni degli insediamenti, non hanno dove andare, nemmeno in altri Paesi arabi”.

Un tuo commento sulla recente sentenza della Corte Internazionale dell’Aja?

Purtroppo non ha natura costrittiva nei confronti di Israele, non ha menzionato il cessate il fuoco, non è assolutamente sufficiente, e infatti la guerra sta continuando, nell’impunità di cui Israele ha sempre approfittato, beffandosi soprattutto delle Risoluzioni ONU. Di contro è stato anche un successo, perché è stata un riconoscimento internazionale dei crimini che Israele ha commesso e sta commettendo nei confronti della popolazione palestinese: 16 giudici su 17 hanno votato per il riconoscimento del genocidio e l’apertura della procedura contro Israele in questo senso, e fra questi anche il giudice israeliano. Purtroppo, Israele ha il sostegno di diversi governi europei e di Washington. Non si può comunque non riconoscere che ci sono stati 74 massacri di massa riconosciuti, un vero e proprio genocidio nei confronti della popolazione palestinese, oltretutto adesso ulteriormente penalizzati dalla sospensione dei finanziamenti alla Unrwa”.

Una manovra ben calcolata, a quanto sembra, ma non esiterebbero prove fondate a sostegno del coinvolgimento dell’agenzia ONU in complotti con Hamas…

E’ un altro aspetto della guerra in corso: il sostegno dell’informazione. Israele in questo caso ha fallito nella guerra delle informazioni. Ha esagerato, ha caricato eccessivamente la dose, come quando ha diffuso le false notizie di guerriglieri di Hamas che nell’attacco del 7 ottobre hanno massacrato donne e bambini. Una notizia smentita in poco tempo, e dagli stessi servizi americani fra l’altro… E il tutto quando l’Unrwa ha oltre 13mila funzionari fra Gaza, Libano, Siria e Giordania. Una riduzione o sospensione dei finanziamenti va solo a danno degli oltre 2 milioni di palestinesi che stanno sopravvivendo nella povertà assoluta, tra fame, miseria, paura e morte, e senza una garanzia di futuro. E in questo anche l’Italia ha pesanti responsabilità. Da 40 anni vivo in Italia, e da giornalista non ho mai visto una decadenza a tal punto vergognosa nella pubblica informazione. Per lavoro capita che procuri importanti interviste a diversi colleghi italiani nei Paesi arabi, che poi si vedono bloccare tutto da ordini provenienti dall’alto, secondo cui non è conveniente divulgare un certo genere di informazioni…che sono semplicemente la verità. Questa non credo si possa definire una democrazia dell’informazione non ho mai visto tanta decadenza. Molte volte mi è capitato in prima persona in 35 anni di corrispondenza di guerra. Non si può continuare a insistere solo sugli ostaggi e dimenticare le centinaia di migliaia di palestinesi che dormono per strada, continuamente esposti a rischio di morte, malattie, violenze”.

Tirando le somme: ci sono possibilità di una tregua?

Bisogna partire dalla questione di base: oggi è ormai riconosciuto che il problema è la nascita di uno stato palestinese. Certo dalle parole bisogna passare ai fatti. Israele non ne vuole sapere ed è alla deriva, con l’immagine dell’accanimento e della vendetta per l’attacco del 7 ottobre. Non vuole riconoscere che il mondo è cambiato dal 1967, e non si può più occupare un territorio e dichiararlo un dominio proprio, con una decisione unilaterale. Oggi Israele non vuole riconoscere che non può sfidare un asse della resistenza come Iran-Iraq-Siria-Libano-Yemen e pretendere di avere la vittoria. Se si vuole arrivare alla pace, Israele deve riconoscere la sconfitta, rinunciare alla vendetta, smettere di massacrare i palestinesi, tornare al dialogo, accettare la nascita di uno Stato di Palestina e una convivenza con il rispetto della reciproca sovranità. E’ necessario allontanare il governo sionista di ultradestra che sostiene la guerra di Netanyahu perché sono molti gli israeliani che vogliono la pace. Israele non può vincere a Gaza. La soluzione è quella dei due Stati, in caso contrario non si arriverà a nulla”.

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