Lorenzo Utile - Non è certo una novità che l’informazione, prima, durante e dopo un conflitto, svolga una parte fondamentale. E’ sempre stato così, fin dall’alba dei tempi. Al giorno d’oggi, gli apparati della macchina mediatica, soprattutto quella “allineata”, in diverse occasioni possono risultare più efficaci di un drone da combattimento e, nonostante gli strumenti a disposizione delle parti avverse, rimangono ancorati all’antico concetto che “la storia la scrive chi vince”. Per questo, la guerra dell’informazione è, pur senza sangue, altrettanto senza esclusione di colpi bassi, sotto la cintura, fino a proporre, anzi, imporre (o cercare di farlo), notizie anche di particolare atrocità, per creare il fenomeno, lo shock, in una società che ormai è abituata a tutto, o quasi. Ed è sul “quasi” che si gioca la sfida.
L’informazione approfitta del caos per creare il caos, qualora sia utile allo scopo, per presentare un nemico spietato, crudele, la cui, sete di vendetta, rabbia cieca e fuori controllo, non risparmia vecchi, donne e bambini, nemmeno di pochi mesi. Una versione presentata senza mezze misure, di un episodio dove sarebbero stati coinvolti appunto anche neonati, con descrizioni aberranti, raccapriccianti, che ovviamente non occorre riportare. La versione israeliana del massacro al kibbutz di Kfar Aza, dove i giornalisti israeliani, condotti sul luogo da reparti dell’esercito israeliano, sarebbero stati testimoni del ritrovamento di una quarantina di corpi in condizioni devastanti, fra altri di terroristi palestinesi. Ed episodi simili, secondo i quotidiani israeliani, si sarebbero ripetuti in altri kibbutz lungo il confine della Striscia di Gaza con Israele, attaccati da numerosi gruppi di Hamas, della Jihad Palestinese e della Brigata di Al Aqsa.
Pare, in effetti, che dalle fila stesse delle truppe israeliane, sia trapelata l’informazione che tali scenari siano stati organizzati ad hoc, senza prendere in considerazione che nelle carceri israeliane sono detenuti numerosi minori senza alcun capo d’accusa, o che i soldati delle truppe di occupazione sparino ai ragazzini che giocano a pallone vicino a un reticolato, solo perché la loro casa si trova a poche decine di metri. In ogni caso, la notizia del massacro di Kfra Aza e di altri insediamenti (per altro illegali e non riconosciuti a livello internazionale) non è stata confermata, e anzi, desta sempre maggiori perplessità. Tuttavia, il solo fatto che potrebbe essere avvenuto, insidia quanto meno il dubbio, ed è in ogni caso una vittoria, se pur limitata. Bisogna però contestualizzare il quadro della situazione, in una manovra esclusivamente militare, preparata per oltre due anni, meticolosamente pianificata, con gruppi di assaltatori su parapendio, obiettivi strategici localizzati e attaccati con incursioni mirate, con combattenti addestrati e decisi che difficilmente si abbandonano a crimini non occultabili, che di certo darebbe a Hamas una immagine internazionale della quale non ha certamente bisogno. Passerebbe troppo facilmente dalla parte del torto, annullerebbe tutti i ben noti e riconosciuti diritti, e lo scopo stesso della resistenza, ottenere un Paese libero.
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