Lorenzo Utile - Quale sarà il futuro della Striscia di Gaza se l'accordo sullo scambio fra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi andrà in porto senza intoppi? I 42 giorni di tregua sono solo la prima fase, ma la seconda e la terza, ancora da definire, puntano alla stabilizzazione, pacificazione e ricostruzione di una terra ridotta in macerie.
Il primo punto riguarda l'organizzazione politica e militare di Hamas, decimata da 15 mesi di guerra, ma non debellata. Morto il capo Yahya Sinwar, ne è stato trovato un altro, il fratello Mohammed, considerato ancora più pericoloso, che ha l'ultima parola sulla tregua. Le brigate Ezzedin Al-Qassam, braccio armato di Hamas, forse cercheranno di approfittare dello stop ai combattimenti per riorganizzarsi e arruolare nuovi combattenti, magari fra gli stessi prigionieri palestinesi che verranno liberati dagli israeliani. Da parte sua, Netanyahu sembra non volere rilasciare i più importanti, come Marwan Barghouti, leggenda vivente fra i palestinesi, che comunque non ha mai fatto parte di Hamas, e magari aspetta la liberazione degli ostaggi per poi riprendere la guerra genocida.
In gioco anche il prestigio della Autorità Nazionale Palestinese, per il controllo della Striscia di Gaza e regolare i conti fra Fatah e Hamas, ma Israele non vuole saperne neanche degli uomini di Abu Mazen. Nel nuovo governo locale sarebbe prevista la presenza dei capi tribali della Striscia, forse i più adatti a gestire un'amministrazione provvisoria per l'emergenza, rimettendo in funzione i servizi essenziali come acqua, energia, operatività degli ospedali e aiuti di prima necessità.
Per questo le fasi successive dell'accordo, ancora da mettere a punto, prevedono una missione internazionale con un contributo di polizia internazionale o soldati, che mantengano l'ordine. Il contingente sarà organizzato dai Paesi arabi, ma non è esclusa una partecipazione europea a cominciare dall'Italia, che fin dall'inizio ha dato disponibilità a partecipare a una missione di pacificazione. L'importante è che non sia una brutta copia dei Caschi Blu ONU nel Sud del Libano, che non sono stati in grado di garantire il rispetto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
La terza fase degli accordi, dovrebbe prevedere la ricostruzione di un territorio lungo circa 60 km e largo 10, trasformato in un cumulo di macerie. Se mai si arrivasse a questo punto esiste il rischio, come è successo in passato dopo l'operazione israeliana “Piombo Fuso”, che Hamas, magari sotto mentite spoglie, gestisca a suo uso e consumo il business. L'impresa di sradicare la formazione terroristica e politica da Gaza è una missione quasi impossibile e lo dimostra la situazione della Cisgiordania, sull'orlo della guerra civile. Un motivo in più per trovare una soluzione definitiva sulla base dei due Stati, e con l'enorme tributo di sangue, versato soprattutto dai palestinesi, che da ostacolo potrebbe essere motivo per evitare altre tragedie.
L'era Trump e il nuovo ordine mediorientale, che si sta delineando, dovrebbero puntare all'obiettivo più alto di una pace definitiva. Forse è un'illusione e forse il futuro di Gaza è solo una tappa temporanea fino alla prossima guerra?
Comments