Assadakah News - Mentre si intensificano gli attacchi israeliani su Rafah, la risposta umanitaria a Gaza è sull’orlo del collasso. Una realtà resa ancor più tragica visto che gli aiuti internazionali – pur aumentati nelle ultime settimane – non riescono a entrare nella Striscia. Tra il 7 e il 27 maggio, secondo i dati delle Nazioni Unite, solo 1.000 camion sono arrivati dentro Gaza, un numero del tutto insufficiente a soccorrere oltre 2,2 milioni di persone allo stremo. E’ l’allarme lanciato oggi da Oxfam, Save the Children, Medici Senza Frontiere e altre 17 organizzazioni umanitarie che lavorano per rispondere all’emergenza. Intanto gli ultimi attacchi israeliani, che hanno colpito un campo profughi vicino alle strutture dell'ONU a Rafah, avrebbero ucciso decine di persone, tra cui dei bambini e ferito molte altre. Una situazione che sta riducendo ai minimi termini la capacità di risposta umanitaria e delle équipe mediche, mentre le soluzioni temporanee approntate, come il molo allestito in mare per l’arrivo degli aiuti e l’annuncio di nuovi punti di transito, stanno avendo un impatto minimo in termini di accesso umanitario per la popolazione.
Il rischio concreto in questo momento – avvertono le organizzazioni - è dunque un rapido aumento delle morti causate da fame, malattie e mancanza di assistenza medica.
I punti di accesso a Gaza, sia marittimi che terrestri, sono ancora chiusi all’ingresso di aiuti e di carburante, mentre si stanno intensificando gli attacchi nelle aree dove hanno trovato rifugio i civili. Uno status quo, che unito al prolungato blackout delle telecomunicazioni, ha ridotto il volume degli aiuti che riescono a entrare nella Striscia (tra cui cibo e forniture mediche) ai livelli più bassi degli ultimi 7 mesi.
Medici Senza Frontiere, ad esempio, non riesce a far entrare alcun rifornimento dal 6 maggio.
La popolazione deve fare i conti con la mancanza di acqua pulita, che aumenta il rischio di malattie. Nonostante questo, in molte occasioni le autorità israeliane hanno negato l’ingresso di pompe idrauliche e kit di desalinizzazione dell’acqua.
La distribuzione degli aiuti dentro Gaza si fa inoltre sempre più complicata. In meno di tre settimane, quasi un milione di palestinesi sono stati sfollati in aree già sovraffollate e prive di servizi di base, mentre le organizzazioni sono costrette a lavorare con la continua preoccupazione per la sicurezza delle operazioni di soccorso e degli operatori sul campo, dovendo far i conti con il moltiplicarsi dei posti di blocco israeliani, che rallentano e ostacolano la risposta umanitaria.
Zenab, una donna incinta il cui marito è stato ucciso in un attacco aereo israeliano, ha raccontato lo scorso marzo a CARE International di essere stata costretta a fuggire da Gaza City a Rafah e poi a Khan Younis. Per trovare le medicine che le servivano è stata costretta a camminare per ore e ore (senza cibo e acqua) tra farmacie, ospedali e centri sanitari. Zenab dovrebbe poter fare un parto cesareo la prossima settimana, ma il rischio in questo momento è che non ci sia posto in nessuno degli ospedali rimasti anche solo in parte in funzione.
Il sistema sanitario di Gaza è stato di fatto smantellato. Praticamente tutti gli ospedali hanno ricevuto “ordini di evacuazione”, sono sotto assedio israeliano o saranno presto a corto di carburante e rifornimenti. Il più grande ospedale di Rafah, Abu Yousef al-Najjar, è stato chiuso a seguito di un “ordine di evacuazione” emesso da Israele, mentre ad ora nessun ospedale nel nord di Gaza è accessibile. Gli operatori sanitari a Gaza raccontano di come i pazienti muoiano ogni giorno per la carenza di forniture mediche, mentre i medici, gli infermieri e gli altri operatori sanitari continuano a essere uccisi o sfollati con la forza.
I bambini non possono più essere evacuati da Gaza – sottolinea Save the Children – e tanti hanno un disperato bisogno di supporto psicosociale, dati gli orrori quotidiani, la perdita di familiari e persone care.
Juzoor – organizzazione partner di Oxfam a Gaza, al lavoro in oltre 50 rifugi per sfollati e nei centri sanitari del nord della Striscia – lo scorso 19 maggio ha denunciato come 6 delle strutture dove stava intervenendo a Jabaliya sono state completamente distrutte dai bombardamenti israeliani. I rifugi disponevano di servizi medici e ospitavano sfollati provenienti dalle aree circostanti. Costretti a fuggire, i membri dello staff al ritorno hanno trovato i letti dei pazienti bruciati, le attrezzature e le forniture mediche essenziali distrutte.
Nel sud di Gaza, il flusso di aiuti è fermo, tutte le panetterie di Rafah sono chiuse. Il crollo delle scorte di beni essenziali e l’intensificarsi del conflitto hanno costretto le organizzazioni umanitarie a sospendere la distribuzione di aiuti nel sud della Striscia, stessa cosa potrebbe succedere a Khan Younis, Deir al-Balah e Gaza City. In questo momento molti palestinesi sopravvivono con meno del 3% del fabbisogno giornaliero di acqua, con il conseguente aumento di casi di diarrea e epatite, mentre le temperature continuano a salire.
Il valico di Rafah, uno dei principali punti di ingresso degli aiuti a Gaza, è chiuso dal 7 maggio, da quando è stato occupato dalle forze israeliane. Oltre 2.000 camion sono fermi ad Arish, in Egitto, in attesa che Israele permetta loro di entrare: mentre a pochi chilometri di distanza gli sfollati sono alla fame, si lascia che il cibo marcisca e le medicine scadano. Sebbene il valico di Kerem Shalom rimanga ufficialmente aperto, i camion commerciali hanno la priorità di ingresso, con la conseguenza che il flusso di aiuti è tutt’ora irregolare e insufficiente.
In questo contesto - ribadiscono le organizzazioni firmatarie dell’appello - è prioritario un cessate il fuoco immediato e duraturo e che vengano garantiti percorsi sicuri e prevedibili per l’ingresso di aiuti a Gaza e per la loro distribuzione all’interno dell’enclave. Le parti in conflitto devono poi garantire l'accesso umanitario alla popolazione e la consegna degli aiuti, rispettando le norme del diritto umanitario internazionale. Israele in particolare deve rispettare le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), incluso il recente ordine che impone uno stop all'offensiva militare su Rafah.
La comunità internazionale, inclusi i Paesi terzi e i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – concludono le organizzazioni – allo stesso modo sono tenuti a rispettare quanto previsto dal diritto internazionale umanitario e dalle sentenze della Corte internazionale di giustizia, e hanno l’obbligo di garantire la sicurezza della popolazione palestinese.
Le organizzazioni sul campo lavorano incessantemente, cercando di fornire aiuti in condizioni difficilissime, ma sarà impossibile fare di più finché gli Stati continueranno a sottrarsi ai loro obblighi legali e alla responsabilità morale di garantire un cessate il fuoco.
Le organizzazioni firmatarie:
Premiere Urgence Internationale; Médecins du Monde France; Médecins du Monde Switzerland; Médecins du Monde Spain; Danish Refugee Council; Norwegian Refugee Council; CARE International; Médecins Sans Frontières/Doctors Without Borders (MSF); Oxfam; Save the Children International; Plan International; Amnesty International; ActionAid International; Humanity & Inclusion/ Handicap International (HI); Norwegian People’s Aid; War Child Alliance; Secours Islamique France; Action For Humanity; Islamic Relief; Mercy Corps.
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