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Francia – Macron ordina il ritiro della missione in Mali

Assadakah Roma News - Il fiasco del Sahel e la fuga della Francia dal Mali, probabilmente passeranno alla storia come l'Afghanistan di Emmanuel Macron, ma Joe Biden poteva rinfacciare a Donald Trump l'errore di aver trattato con i talebani, mentre il presidente francese, ha fatto tutto da solo. Gli insuccessi militari e le tensioni con il governo di Bamako sono all'origine del ritiro dei 2600 soldati francesi annunciato mercoledì sera. Un ritiro che coinvolge anche la Task Force Takuba, la missione militare europea avviata solo un anno fa, per sopperire alle difficoltà francesi e costretta ora a seguire il ridispiegamento in Niger del contingente francese, che lascia le basi di Gossi, Menaka e Gao. Un ritiro annunciato nella cornice unitaria, e apparentemente consenziente, garantita a Macron da Mario Draghi e altri leader europei, convocati a Parigi mercoledì sera, per presenziare all'annuncio. E’ evidente che le responsabilità della fuga dal Mali spettano soltanto a una Francia incapace d'impedire il riaffermarsi dell'egemonia jihadista nelle regioni settentrionali del Paese.

Una Francia che, nonostante un contingente di oltre 2600 uomini, non ha saputo bloccare due colpi di stato e la caduta di Bamako nelle mani dei militari. Tantomeno impedire l'arrivo di 800 mercenari russi del gruppo Wagner, pronti a rimpiazzare i soldati francesi e, per altro, accolti con benevolenza dalla popolazione, che ha lamentato senza mezze misure la inefficienza francese.

L'aspetto più paradossale della vicenda è il forzato ritiro di un contingente europeo arrivato nel Mali per affiancare una Francia ormai incapace di sostenere la pressione delle milizie di Al Qaeda e dell'Isis pronte ad avanzare dal Sahel alle coste del Mediterraneo. L'Italia, tra l'altro, aveva risposto all'appello francese mettendo a disposizione 200 incursori delle Forze Speciali e otto elicotteri per un costo stimato di quasi 50 milioni di euro l'anno. Una generosità non proprio obbligata visto che nel 2017 Macron aveva fatto il possibile per ostacolare la missione italiana in Niger. Per non parlare della diffidenza con cui la Francia ha accolto le trattative con cui l'Ong italiana Ara Pacis ha formalizzato, ai primi di febbraio, un accordo di riconciliazione tra alcuni gruppi islamisti del nord del Mali e il governo di Bamako.

Il rifiuto di qualsiasi negoziato con i gruppi coinvolti nell'insurrezione islamista, richiesto da molti governi dal Sahel è, tra l'altro, una delle ragioni che complicato la presenza francese. Una posizione spiegabile con l'orgoglio di un Eliseo convinto di poter resuscitare l'antica grandeur, ma che non ha incontrato la volontà dello stesso Macron nel decidere il ritiro, ma che nei fatti è stata una decisione obbligata, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali, per evitare nuove possibili perdite su un fronte dove già conta 53 caduti. Intransigenze e contraddizioni che sono anche all'origine dello scontro con le autorità del Mali. Uno scontro venuto alla luce lo scorso giugno quando Parigi scaricò sul governo di Bamako le responsabilità per gli insuccessi inanellati nel nord del Paese.

Anche l’ONU, che di incapacità a livello pratico è un fulgido esempio, ha visto l’intervento dello stesso premier maliano, Choguel Kokalla Maiga, pronto rinfacciare alla Francia di aver abbandonato il suo paese a metà del percorso. Uno scontro verbale diventato rottura definitiva a fine gennaio quando il ministro degli esteri francese, Jean-Yves Le Drian, ha definito illegittima la giunta governativa del Mali, accusandola di aver aperto le porte ai mercenari russi pronti a depredare il Paese. Parole che hanno causato l'espulsione dell'ambasciatore francese, costringendo Parigi al ritiro. Ma il fiasco di Macron, oltre a segnare la fine dell'influenza francese nell'Africa Occidentale, rischia anche di rendere ancor più incontrollabili i flussi migratori e avvicinare la minaccia terroristica all'Italia e all'Europa.

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