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Immagine del redattoreRoberto Roggero

Europee '24 - Bruno Scapini: analisi di un voto e azzardo di previsione

Inalterato nel suo insieme è il quadro politico italiano appena uscito dalle elezioni europee. Ad eccezione di qualche travaso di voti, come dal movimento 5S al PD, e dalla Lega a FI, si confermerebbe per il nostro Paese una continuità di linea politica rispetto al corso inauguratosi con le politiche del 2022. Ma al di là di questi “arrotondamenti” ai margini per le grandi formazioni, c’è invece un partito che avrebbe effettivamente stravinto in queste elezioni: quello degli astensionisti. Giunti quasi a quota 51% dell’intero corpo elettorale, i “disamorati” della politica, coloro che potrebbero veramente determinarne o in un senso o nell’altro, il corso, si astengono dal voto, credendo in tal modo di manifestare un utile dissenso non accorgendosi, invece, che così nulla propongono di innovativo, ma semmai contribuiscono al rafforzamento di quei partiti che, forti di una cultura storicamente consolidata tra i quadri militanti, mai rinuncerebbero all’urna elettorale. Ma c’è un dato drammatico che emergerebbe da queste elezioni. Nonostante le tragiche esperienze vissute con le più recenti emergenze, dalla sanitaria per il Covid 19 all’energetica e alla guerra in Ucraina, e a dispetto delle folli politiche adottate da Bruxelles, e intese a imporre regimi fortemente sgraditi ai cittadini (case green, controllo sociale, privatizzazioni, città a 15 minuti, cibi geneticamente modificati o sintetici, restrizioni all’agricoltura, alla pesca ecc.), gli italiani stentano ancora a capire da quale parte provenga il male. Hanno usato le elezioni europee non per mettere a dibattito i grandi temi che agitano oggi i popoli del Continente, e tanto meno quale occasione per avviare una riflessione e verificare se il processo di integrazione europea, così come è stato concepito e impostato, sia realmente conforme ai bisogni dei cittadini e adeguato nei contenuti ai loro diritti. Al contrario, hanno trovato nel voto europeo il solito modo di confrontarsi su questioni casalinghe, di cucina provinciale, e in fondo riconducibili ad una ormai inveterata visione di una politica parcellizzata e ideologicamente informata. Indicativa di questa superficialità e approssimazione di atteggiamento sarebbe del resto la valanga di preferenze ottenute da due personaggi dell’ultim’ora: Ilaria Salis (PD), in carcere in Ungheria, e il Generale Roberto Vannacci (Lega). La facilità con cui l’elettore italiano si lascia convincere e trascinare nel consenso in favore di chi ha avuto il solo merito di un lampo di visibilità, la dice lunga sull’effimero senso di responsabilità e sulla miopia della gran parte dell’elettorato nostrano.

Ben più significativo, per contro, è il risultato del voto europeo in altri Paesi dell’Unione. I due motori trainanti, la Francia e la Germania, imprimeranno, infatti, con lo schianto fragoroso rispettivamente di Macron e di Scholz, un passo decisamente diverso al corso politico di Bruxelles. Sebbene i “popolari” abbiano mantenuto, anche se di misura, le posizioni – il che ha consentito a Ursula von der Leyen di affermare che “fermerà l’avanzamento degli estremismi sia di destra che di sinistra” – i nuovi decisori di Palazzo Berlaymont non potranno evitare di tenere conto, nella designazione della prossima Commissione, dei nuovi orientamenti emersi dall’elettorato di questi due Paesi. Orientamenti che spingono per un corso politico certamente diverso da quello finora seguito che, qualora dovesse essere confermato – come sembra probabile in base ad un calcolo di presunta maggioranza detenuta ancora dai sostenitori di Ursula – non potrà tuttavia prescindere da alcuni necessari “aggiustamenti”, se non altro per compiacere le nuove istanze emergenti dalla affermazione nel consesso europeo delle destre e dei conservatori riformisti.

Insomma, se a livello nazionale, in Italia, ancora non possiamo contare su una robusta e omogenea presenza delle forze del dissenso per riportare in asse un corso politico oggi caduto sotto controllo dei poteri euro-atlantisti, è sul piano europeo che probabilmente qualche correzione di rotta sarà possibile ottenere; e ciò anche se in presenza di una leadership il cui volto forse non avrà i lineamenti di Ursula von der Leyen, né i tratti di quello di Mario Draghi, ma, chissà, probabilmente quelli di Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo, già in anticipo dimissionario rispetto la naturale scadenza del suo mandato, proprio in vista di giocarsi la partita del Gotha di Bruxelles in questo momento critico per l’Europa”. (Bruno Scapini, già ambasciatore della Repubblica Italiana, candidato di Democrazia Sovrana Popolare)

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