Il voto di oggi in Etiopia si svolge sullo sfondo di una sanguinosa guerra nella regione settentrionale dei Tigray, dove i collegi elettorali rimarranno chiusi. Sarà anche il primo test elettorale per il premier Abiy Ahmed, 44 anni, che al suo arrivo al potere nel 2018 aveva promesso di incarnare il rinnovamento democratico del Paese. I seggi sono stati aperti questa mattina alle 7 per permettere ai circa 37 milioni di cittadini registrati di esprimere le loro preferenze alle elezioni parlamentari a lungo rimandate. I risultati complessivi sono attesi solo fra qualche giorno. Vincitore del Premio Nobel per la pace 2019 per aver firmato la pace con l’Eritrea dopo una guerra ventennale, e per aver liberato migliaia di detenuti politici e incoraggiato il ritorno in Etiopia degli oppositori in esilio, Ahmed ha promesso che queste elezioni legislative e regionali saranno le più democratiche che l’Etiopia abbia mai visto.
Nel secondo Paese più popoloso d'Africa (circa 110 milioni di abitanti) dopo la Nigeria, i deputati eleggono il primo ministro che guida il governo, e il presidente, la cui carica è onoraria. Il Partito della prosperità del premier conta il maggior numero di candidati al Parlamento federale, ed è il grande favorito per ottenere la maggioranza e quindi per formare un governo. Inizialmente previste per agosto 2020, le elezioni sono state rinviate due volte, a causa della pandemia di coronavirus e poi per difficoltà logistiche e di sicurezza che ancora non consentiranno di votare in un quinto dei 547 collegi elettorali del Paese, dove si voterà il 6 settembre. Nessuna data è stata invece fissata per i 38 collegi elettorali del Tigray dove il governo di Addis Abeba sta conducendo un’operazione militare da novembre e dove secondo le Nazioni Unite almeno 350 mila persone sono ora minacciate dalla carestia. Questo sanguinoso conflitto sta sollevando molteplici denunce e condanne dalla comunità internazionale per le atrocità che vi sono state commesse.
Proprio il rinvio delle elezioni era stato considerato la miccia che di lì a poco avrebbe innescato il conflitto nel Tigray. Le autorità di Macallè decisero di votare ugualmente, contravvenendo alle direttive del governo federale, che per tutta risposta tagliò i finanziamenti alle autorità tigrine. Dopo pochi giorni la situazione degenerò fino ad innescare il conflitto tuttora in corso.
Insediatosi nel 2018, subentrando al dimissionario Hailemariam Desalegn, Hamed aveva subito promesso di porre fine alla repressione della popolazione oromo, sua etnia natale, avviando una serie di riforme radicali che ben presto gli sono valse il plauso della comunità internazionale. Ma l’idillio è durato poco perché il primo premier oromo nella storia dell’Etiopia ha ben presto ha finito per inimicarsi dapprima la sua stessa etnia di appartenenza; poi quella della regione del Tigray, la cui egemonia sulla vita politica, economica e sociale dell'Etiopia ha iniziato a vacillare con la firma della Dichiarazione di pace con l’Eritrea. I nazionalisti oromo accusano Ahmed di non aver fatto abbastanza per la loro emancipazione dopo decenni di dominio tigrino e di aver “annacquato” le differenze etniche su cui si basa la Costituzione federale di un Paese dove convivono più di ottanta popoli diversi. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la creazione del Partito della prosperità, nato dalla fusione dei partiti - eccezion fatta per il Fronte di liberazione del popolo del Tigre (Tplf), messo al bando da Ahmed - che costituivano il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf), la coalizione che ha guidato il Paese dalla caduta del dittatore Mengistu Haile Mariam, nel 1991. E’ in questo contesto di estrema complessità che oggi si vota in Etiopia.
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