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Egitto - Concluso vertice su futuro palestinese

(Agenzia Nova) - I leader di Egitto e Giordania, rispettivamente primo e secondo Paese arabo ad aver avviato le relazioni diplomatiche con Israele nel 1979 e nel 1994, hanno incontrato a El Alamein, sul Mediterraneo, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas, sempre meno popolare nei Territori palestinesi e intento a concludere un’intesa intrapalestinese con le altre fazioni e, soprattutto, con il movimento rivale Hamas. L’incontro di oggi fa seguito alla riunione, avvenuta sempre a El Alamein il 30 luglio scorso, con il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, incontrato in precedenza sotto gli occhi del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. I colloqui ospitati dall’Egitto avvengono mentre si fanno sempre più pressanti le indiscrezioni su una mediazione degli Stati Uniti per l’avvio di relazioni diplomatiche tra Israele e Arabia Saudita, che sabato 12 agosto hanno annunciato la nomina di un ambasciatore non residente nei Territori palestinesi, provocando una reazione negativa da parte di Israele.

Il vertice tripartito di El Alamein tra il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi, il capo dell’Anp, Mahmoud Abbas, e il re di Giordania, Abdullah II, si è concluso con l’impegno per rilanciare il processo di pace in Medio Oriente, instaurare una pace palestinese e l’invito a Israele di rispettare le risoluzioni internazionali, secondo quanto si legge nella dichiarazione finale della riunione. I leader hanno sottolineato “la priorità che i tre Paesi attribuiscono ai riferimenti giuridici internazionali e arabi per la risoluzione della questione palestinese, e la necessità di porre fine all’occupazione israeliana sul territorio dello Stato di Palestina, entro un calendario chiaro”. I tre leader hanno chiesto “l’istituzione di uno Stato palestinese entro i confini del 4 giugno 1967, con Gerusalemme est come capitale, una soluzione alla questione dei profughi palestinesi, in conformità con le risoluzioni internazionali sulla legittimità internazionale, e la realizzazione della soluzione dei due Stati”, uno palestinese e l’altro israeliano. Al Sisi e Abdullah II hanno espresso il pieno sostegno agli sforzi del presidente palestinese per continuare a difendere gli interessi del popolo palestinese a tutti i livelli.

I leader hanno sottolineato che risolvere la questione palestinese e raggiungere una pace giusta e globale è “una scelta strategica, una necessità regionale e internazionale, oltre che una questione di pace e sicurezza internazionale”. I leader hanno sottolineato che “Israele deve adempiere ai propri obblighi e impegni in conformità con il diritto internazionale, il diritto internazionale umanitario e precedenti accordi e intese internazionali, compresi quelli conclusi con la parte palestinese”. Al Sisi, Abbas e re Abdullah II hanno chiesto a Israele di “fermare le sue incursioni nelle città della Cisgiordania occupata, che minano la capacità del governo palestinese e la sicurezza di svolgere i propri compiti, revocare il blocco sulla Striscia di Gaza, liberare i fondi sequestrati, fermare gli insediamenti e la demolizione delle case dei palestinesi, fermare il terrore dei coloni e delle correnti estremiste”.

Al Sisi e Abbas hanno espresso il loro sostegno alla storica custodia hashemita sui luoghi santi islamici e cristiani di Gerusalemme e al suo ruolo nel preservare la sua identità araba, islamica e cristiana. I leader hanno anche espresso il loro totale rifiuto di qualsiasi tentativo di dividere la moschea di Al Aqsa. I leader hanno espresso la loro determinazione a proseguire gli sforzi con le maggiori potenze internazionali per rilanciare un serio processo di pace, all’interno di un meccanismo e di un calendario chiaro e specifico, sottolineando la loro adesione all’Iniziativa di pace araba. Inoltre, Abdullah e Abbas hanno sottolineato che l’unificazione intra-palestinese è un interesse e una necessità per il popolo palestinese, evidenziando la necessità di continuare gli sforzi per unire i palestinesi dopo l’incontro dei segretari generali delle fazioni palestinesi, che è stato ospitato dall’Egitto nella città di El Alamein il 30 luglio 2023. Infine, hanno sottolineato l’importanza che la comunità internazionale continui a sostenere l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (Unrwa) e hanno concordato di proseguire la consultazione e il coordinamento.

Domenica, 13 agosto, il ministro degli Esteri di Israele, Eli Cohen, ha detto che il Paese “non consentirà l’apertura di una missione diplomatica saudita presso l’Autorità nazionale palestinese”, all’indomani dell’annuncio di Riad della nomina di un ambasciatore non residente per i Territori palestinesi, che fungerà anche da console generale per Gerusalemme. Il ruolo sarà ricoperto da Nayef al Sudairi, l’attuale ambasciatore in Giordania. Cohen ha aggiunto: “Non hanno bisogno di chiedere il nostro permesso. Non si sono consultati con noi e non ne hanno bisogno. Ma non autorizzeremo l’apertura di alcuna missione diplomatica”, ha detto Cohen. Il ministro degli Esteri israeliano ha assicurato che la questione palestinese non è l’oggetto principale dei negoziati di normalizzazione con Riad. Per Cohen, l’annuncio di Riad dimostra che, mentre si susseguono le indiscrezioni sull’avvio delle relazioni diplomatiche tra Israele e Arabia Saudita, “i sauditi vogliono far sapere ai palestinesi che non li hanno dimenticati. Ma noi non permettiamo ai Paesi di aprire consolati. È incompatibile con le nostre posizioni”.

Nell’intervista, Cohen ha aggiunto: “La questione palestinese non è il principale argomento di discussione. Sotto la guida del Likud e di Netanyahu, abbiamo concluso i precedenti accordi di pace – ovvero gli Accordi di Abramo con Emirati Arabi Uniti e Bahrein -, e abbiamo dimostrato che i palestinesi non sono un ostacolo alla pace. Questo non è ciò che impedirà un accordo”. Il ministro ha spiegato che “gli accordi si possono raggiungere. E’ complesso, ma realizzabile. Ciò che conta alla fine sono gli interessi. Gli interessi dell’Arabia Saudita non sono meno importanti di quelli di Israele. Abbiamo una finestra di opportunità di 9-12 mesi, perché dopo questo periodo gli Stati Uniti saranno immersi nella campagna elettorale”.

Il ministero degli Esteri dell’Anp ha accolto con favore la decisione dell’Arabia Saudita di nominare un ambasciatore nei Territori palestinesi e console generale a Gerusalemme. L’Anp “ritiene che la tempistica di questa decisione rifletta l’interesse del fraterno Regno dell’Arabia Saudita per la causa palestinese come una delle basi su cui poggia la politica estera di Riad a livello arabo, islamico e internazionale e costituisca anche un’estensione della posizione dell’Arabia Saudita a sostegno della causa palestinese e dei diritti del nostro popolo”. Il ministero esprime la sua disponibilità a cooperare pienamente con l’ambasciatore Al Sudairi per facilitare lo svolgimento dei suoi nuovi compiti al fine di elevare lo status di arabi e musulmani e sviluppare e rafforzare le distinte relazioni bilaterali.

Il legame esistente tra l’Arabia Saudita e i palestinesi “supera la percezione pubblica” e la nomina dell’ambasciatore non residente, Nayef al Sudairi, “rappresenta un sostegno significativo ai palestinesi e conferirà una dimensione più ampia al loro rapporto con il Regno, producendo effetti positivi per entrambi”, ha dichiarato in un’intervista al quotidiano saudita edito a Londra “Asharq al Awsat” lo stesso Al Sudairi, che sabato 12 agosto ha presentato le proprie credenziali a Majdi al Khalidi, il consigliere diplomatico del presidente palestinese, Mahmoud Abbas.

Il diplomatico, ambasciatore ad Amman, ha detto che negli anni l’Arabia Saudita ha investito circa 51 miliardi di riyal (circa 13,6 miliardi di dollari) nei Territori palestinesi. Secondo la ripartizione fornita da Al Sudairi, 29 miliardi di riyal sono stati trasferiti come aiuti direttamente all’Autorità palestinese; 4 miliardi di riyal sono stati dati all’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente); e 18 miliardi di riyal sono stati dati dal Fondo saudita per lo sviluppo, che fornisce aiuti ai Paesi in via di sviluppo. L’intervista è stata diramata mentre gli Stati Uniti lavorano alla normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele.

Oggi, per quanto riguarda l’avanzata verso la normalizzazione con Israele, secondo alcuni osservatori, l’Arabia Saudita si trova di fronte a un dilemma. Da un lato, si rende conto che gli Stati Uniti potrebbero consentire la vendita dei caccia F-35, stabilire un patto di difesa e persino avviare un programma nucleare civile. Dall’altro, il Paese vuole mantenere la sua posizione di “custode dei luoghi santi dell’Islam”. La normalizzazione con Israele senza la formazione di uno Stato palestinese sarà considerata un abbandono da parte dell’Arabia Saudita dell’iniziativa di pace presentata alla Lega araba nel 2002. In base a tale piano, i Paesi arabi entrerebbero in piene relazioni diplomatiche con Israele previa formazione di uno Stato palestinese con Gerusalemme est come capitale, e il completo ritiro israeliano dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e dalla Striscia di Gaza e dalle alture del Golan. Tuttavia, a tre anni dall’annuncio della normalizzazione delle relazioni di Israele con Emirati Arabi Uniti e Bahrein, gli Stati arabi non sembrano indirizzati sull’approvazione dell’iniziativa del 2002.

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