Roberto Roggero* - È iniziata la corsa contro il tempo per evitare la disgregazione della Siria, dopo la caduta del regime Assad e del partito Ba'ath.
L’Unione Europea e gli interlocutori regionali (in primis Turchia e monarchie del Golfo) hanno serie intenzioni sulla stabilizzazione, per evitare la radicalizzazione di un nuovo regime o peggio, un’altra guerra civile.
Le decisioni prese determineranno il futuro della Siria negli anni a venire, e ci sono grandi prospettive e opportunità, ma anche pericoli reali. Di certo è necessario mettere mano alla ricostruzione del Paese, dopo anni di distruzione, con massicci investimenti nelle infrastrutture da parte della comunità internazionale, che contribuirebbero alla normalizzazione.
La Siria ha urgente bisogno di infrastrutture come ferrovie, aeroporti e strade per mantenere la coesione e garantire la distribuzione dei generi di prima necessità alla popolazione e alle iniziative commerciali per una nuova economia.
Anche per questo motivo la Turchia ha un potenziale ruolo determinante in Siria grazie a evidenti ragioni geografiche, politiche ed economiche.
Negli ultimi trent'anni, le grandi imprese di costruzione turche hanno avuto molto da fare nell’area dei Balcani e nel Levante, diventando efficaci strumenti per il presidente Erdogan, che nella confinante Siria ha un’occasione d’oro. In ogni caso, le istituzioni UE e dei Paesi del Golfo reclamano una Siria integra e sovrana ma, a questo punto, alla Turchia conviene comunque trovare un accordo con la nuova leadership di Damasco, e con la cerchia di alti comandanti di Hayat Tahrir Al-Sham, che ben conosce, e che costituisce la maggioranza della attuale amministrazione. Altrettanto necessario è fare tacere le armi anche nei territori nord-orientali, nel Sud e nel Golan, dove avvengono frequenti incursioni aeree israeliane.
Non certo ultima, la questione curda, ovvero l’obiettivo che Erdogan persegue da anni, l’eliminazione dell’indipendentismo e del nazionalismo curdo del YPG e del PKK. Fine ultimo potrebbe essere la posizione di leader per ogni trattativa fra Europa, Medio Oriente e Paesi del Golfo. A tale scopo, assicurarsi contratti base per ricostruzione è essenziale, e non a caso, il ministro dei trasporti turco, Abdulbakir Uraloglu, ha annunciato un piano d’azione del proprio governo, per la riattivazione di porti, aeroporti, ferrovie e ponti in Siria, con un progetto per riabilitare diversi tratti dei 1750 km della ferrovia costruita fra il 1900 e il 1908, che collegava Istanbul alla Città Santa Medina e quindi La Mecca, secondo l’antico progetto del sultano Abdulhamid II. Un buon risultato sarebbe intanto collegare Istanbul e Damasco.
L’impegno turco in Siria richiederebbe grandi investimenti e risorse finanziarie che la Turchia potrebbe non avere a causa dell’alta inflazione e del debito pubblico che ne affliggono l'economia da anni. Uno dei limiti per il raggiungimento delle ambizioni regionali della Turchia, pe la quale è importante assicurarsi l'appoggio economico e finanziario soprattutto del Qatar e degli altri paesi del Golfo.
Anche le monarchie del Golfo hanno grandi progetti di sviluppo ferroviario e anche le grandi industrie europee. In Arabia Saudita, la Saudi Railway Company ha presentato un piano trentennale per costruire una rete capillare di trasporto su rotaie con le tecnologie più recenti, e Qatar, Oman e altri Paesi con grandi capitali sovrani, hanno deciso di puntare sullo sviluppo dei collegamenti ferroviari.
Se il progetto turco in Siria fosse realizzato, in pochi anni la Penisola arabica sarebbe collegata con treni ad alta velocità grazie alla piattaforma territoriale siriana fra Mediterraneo, Turchia, corridoio Europa-Medio Oriente-India, o Via del Cotone.
Il governo turco vorrebbe cominciare la ricostruzione dall’aeroporto di Damasco, dove lo scorso 7 gennaio è atterrato il primo volo di linea, della Qatar Airways. Da parte sua, il Qatar ha annunciato di essere pronto a finanziare gli aumenti salariali dei funzionari pubblici siriani.
(*Direttore responsabile Assadakah News)
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