Roberto Roggero* - Dopo 24 anni di governo totalitario di Bashar Al -Assad, 53 anni in totale di dominio assoluto della famiglia, e altri 15 anni circa di guerra intestina, la Siria pare essere a un giro di boa e di conseguenza la regione mediorientale, considerando la posizione del Paese nello scacchiere territoriale, per altro da poco riammesso alla Lega Araba, che ora deve fronteggiare questo impellente problema, come l’ONU, che ha convocato il Consiglio di Sicurezza.
Con Bashar Al-Assad a Mosca, e la Russia che rimane parte in causa nella situazione siriana, a causa della presenza delle basi di Tartus e Latakia, la nuova leadership ha poi delle questioni prioritarie da risolvere, prima fra tutte le relazioni con Mosca.
Hayat Tahrir Al-Sham governa tutta la Siria, con al proprio interno numerosi gruppi della resistenza, con a capo Abu Muhammad Al-Jolani, che ha proclamato la vittoria islamica e l’inizio di una nuova era.
Lo scenario è però ben lontano dall’essere definito, sia per il caos interno alla stessa Siria, sia per il complicato scenario geopolitico del Medio Oriente alla luce degli ultimi avvenimenti.
Di fatto, la vittoria islamica rimane una vittoria di popolo, perché è la popolazione siriana ad aver determinato gli eventi, con numerose città liberate senza sparare un colpo e i soldati governativi che deponevano le armi e si liberavano dell’uniforme. Come si è visto dalle telecronache, tutta la popolazione siriana ha celebrato la vittoria. Regolamenti di conti e vendette personali sono un seguito purtroppo “normale” di certe situazioni, che la stessa Europa a vissuto in passato. A ciò si aggiunge la presenza di truppe israeliane e la questione del Golan, e le relazioni con la Turchia e con la Repubblica Islamica dell’Iran e i presidi americani. Insomma, tutta la Regione e non solo.
A questo punto, tre gli scenari immaginabili, a meno di ulteriori colpi di testa. La Siria potrebbe adottare un modello di amministrazione simile a quella del vicino Libano, data la presenza di diverse comunità etniche e religiose, fino ad oggi conviventi su equilibri alquanto fragili. Di certo, una spartizione dei poteri, determinerebbe ingerenze straniere sulle varie fazioni, soprattutto da parte di Russia, Stati Uniti, Israele, Turchia e Iran. Una divisione di questo tipo comporterebbe una ulteriore divisione territoriale, e le questioni ancora insolute rimarrebbero irrisolte. Tuttavia, come sta succedendo in Libano, c’è il rischio dello stallo politico ed economico, con ripercussioni sulle condizioni di vita di una popolazione già allo stremo.
Un'altra possibilità è l’adozione della Risoluzione ONU 2254, emessa già nel 2015, da applicare con il concreto sostegno della comunità internazionale, che prevede il mantenimento delle strutture e delle istituzioni amministrative statali, fra cui anche una forza armata di difesa regolare, quindi una transizione politica sotto egida ONU che porti alla formazione di un Comitato Governativo in cui siano rappresentate tutte le componenti culturali, religiose, sociali ed etniche. In questo sono quindi compresi anche i Curdi, ancora relegati all’estremo nord del Paese, privati di rappresentanti ufficiali e mai considerati nonostante i servigi resi alla Siria. La fase seguente comporterebbe poi elezioni con forze politiche che rappresentino le varie componenti del Paese.
Nel caso non si riesca a portare la Siria su questa strada, l’alternativa è uno scenario senza vinti né vincitori, come è accaduto in Libia. Un Paese dominato fa fazioni indipendenti, con i propri territori e signori della guerra che comandano formazioni estremiste, caos, lotte per il controllo delle risorse, scontri tribali, incertezza e povertà per la popolazione. In più, il problema degli sfollati interni e rifugiati nei Paesi vicini, che in totale superano i 13 milioni. Il problema è che una Siria in tali condizioni, favorirebbe gli appetiti dei principali attori internazionali interessati.
(*Direttore responsabile Assadakah News)
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