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Editoriale - Palestina, Libano e la stuazione internazionale

Roberto Roggero* - Ucraina, Gaza, Messico, Myanmar, Israele, Cina, Taiwan, Haiti, Palestina e ora, il Libano. Sono più di 50 i conflitti attivi nel mondo, il numero più alto dalla fine della seconda guerra mondiale, e raddoppiato negli ultimi tre anni, con il continuo rischio di aumentare, considerate le recenti tensioni in Medio Oriente.

I numeri

Secondo quanto emerso dal report 2024 di Global Peace Index, recentemente diffuso dall’Institute for Economics & Peace, sono esattamente 56 le guerre in corso, cui vanno aggiunti i nuovi conflitti aperti dopo gli ultimi sviluppi in Medio Oriente, con Israele che nelle ultime ore ha deciso di attaccare Libano e Siria, aprendo un nuovo fronte. Considerando gli ultimi dati, il quadro che emerge è decisamente poco incoraggiante. Sulla base di 23 indicatori qualitativi e quantitativi da fonti documentate, la situazione è stata presa in considerazione in 163 Stati e territori considerando tre ambiti: livello di sicurezza e protezione sociale, portata dei conflitti interni e internazionali, e grado di militarizzazione. Un'analisi dalla quale è emerso che il Paese più pacifico è l’Islanda (in prima posizione dal 2008), seguito da Irlanda, Austria, Nuova Zelanda e Singapore. L'Italia occupa invece il 33° posto, davanti a l’Inghilterra, Svezia e Grecia. Chiude la classifica lo Yemen, preceduto da Sudan, Sud Sudan, Afghanistan e Ucraina.

La guerra che cambia

Global Peace Index e ASviS (Alleanza Italiana Sviluppo Sostenibile) fissano l’indica di pacificazione a - 0,56% sui 163 Paesi analizzati, ovvero: 97 hanno registrato un peggioramento delle condizioni di pace, e solo 65 hanno migliorato. Le guerre, conclamate o meno, sono sempre più internazionalizzate, con 92 Paesi impegnati oltre i propri confini, numero mai così alto dal 2008 e destinato inoltre ad aumentare ulteriormente.

Oltre 162mila decessi legati ai conflitti nel 2023, secondo numero più alto mai registrato negli ultimi 30 anni, con i conflitti in Ucraina e Gaza responsabili di quasi 3/4 delle morti. L’Ucraina ne rappresenta più della metà, registrando 83mila morti, mentre le stime per il conflitto in Palestina parlano di almeno 35mila (fino ad aprile 2024). L’impatto economico dei conflitti a livello globale nel 2023 è andato oltre i 20mila miliardi di dollari. Un aumento di 158 miliardi di dollari. Per il mantenimento della pace sono stati investiti circa 50 miliardi di dollari, pari a meno dello 0,6% della spesa militare totale.

Per quanto riguarda i "miglioramenti", dei 23 indicatori analizzati dal Global peace index, solo otto hanno registrato avanzamenti, mentre 13 sono peggiorati e 2 sono rimasti stabili. I settori della militarizzazione e dei conflitti in corso sono entrambi peggiorati, mentre il settore “sicurezza e protezione” ha registrato un leggero miglioramento. I maggiori peggioramenti su base annua si sono verificati sui finanziamenti delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace, sulla spesa militare, sulle morti per conflitti esterni e sugli indicatori di conflitti esterni combattuti. Ci sono stati miglioramenti sostanziali per molti indicatori di sicurezza, comprese le manifestazioni violente, l’impatto del terrorismo e il tasso di omicidi.

Medio Oriente record negativo

Come riportato nel rapporto, Israele ha subito il maggiore deterioramento della pace, scendendo di 11 posizioni in classifica e arrivando al 155° posto, il suo più basso mai registrato e sceso del 10,5% a causa degli attacchi di Hamas e della successiva ritorsione a Gaza e ora in Libano e Siria, con il coinvolgimento di Repubblica Islamica dell’Iran e Stati Uniti. Discorso analogo, ovviamente, per la Palestina, al 145° posto. Si stima che, nel 2023, siano stati uccisi oltre 17mila palestinesi, fino a superare le 35mila vittime ad aprile 2024, con alcune stime che parlano addirittura di circa 100mila morti.

La escalation delle tensioni Israele-Libano, con l'ingresso delle truppe IDF nel Paese, potrebbe aprire scenari da terza guerra mondiale. La prima fonte di preoccupazione degli esperti è la resistenza di Hezbollah, che capacità avanzate, forte influenza politica, e adesso motivato dal martirio del leader storico Hassan Nasrallah.

Se Hezbollah risponderà contro Israele, il coinvolgimento di Siria e, potenzialmente, Iran, non si può escludere. Teheran si è mostrata tiepida con Hezbollah, ma l'escalation della tensione potrebbe portare a fornire supporto diretto o intensificare le sue attività contro Israele, magari attaccando attraverso le milizie in Siria o Iraq, oppure colpendo le rotte commerciali nel Golfo. L'impegno diretto dell’Iran farebbe crescere il rischio di un coinvolgimento più ampio di altre potenze. Scenario plausibile il coinvolgimento degli Stati Uniti, senza trascurare Russia e Cina, che ha legami economici importanti con l'Iran e ha rafforzato la presenza in Medio Oriente negli ultimi anni.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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