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Editoriale - Medio Oriente, un anno di guerra

Roberto Roggero* - Non è un segreto che la Repubblica Islamica dell’Iran voglia mantenersi sulla linea della prudenza, ed evitare un passo che farebbe precipitare la situazione oltre il punto di non ritorno. A Teheran non ci sono degli sprovveduti, come a Tel Aviv o a Washington. Uno scontro che nessuno può definire nel tempo non conviene a nessuno. Il premier israeliano continua a disegnare, nella propria fervida immaginazione, uno stato ebraico dall’Eufrate al Nilo, ma da troppo tempo sta facendo i conti senza l’oste, fino a permettersi di offendere l’Assemblea Generale Onu, e definire il segretario generale, Antonio Guterres, “persona non gradita”.

L’Iran ora ha risposto, con un massiccio lancio di missili, un attacco preordinato e annunciato. All’attenzione, tuttavia, c’è la questione cessate-il-fuoco a Gaza, Cisgiordania, Libano e Siria, con il pretesto di sradicare Hamas e Hezbollah, obiettivo di per sé non realizzabile, ma Israele dovrebbe ricordare che non conviene allertare la Russia, che con la Siria ha ben solidi legami.

La questione palestinese poi, è aperta da decenni, non certo dal 7 ottobre scorso, e non si intravvede soluzione. Come ha ricordato il principe saudita, Mohammed Bin Salman, la ripresa del dialogo con Gerusalemme è difficile proprio a causa della guerra a Gaza contro i palestinesi. Perché, appare chiaro oramai, che se c’è una cosa che ha prodotto quell’attacco, è che esso ha resuscitato la questione palestinese nelle capitali arabe. Quando Israele ha iniziato l’attacco a Gaza aveva in mente tutto ciò che sarebbe seguito, dal Libano a uno scontro con Teheran? DI certo Netanyahu ha colto la palla al balzo e fino ad ora è riuscito a evitare la morte politica, ma l’operazione a Gaza si sta rivelando un fiasco totale, e la seconda lo sarà presto perché Hezbollah non è certo da meno, pur con la morte di Sayyed Hassan Nasrallah.

Certo è che in crisi di questo genere, i calcoli dei governi non sempre sono logici e possibili, non si ha il pieno controllo della situazione, un piano inclinato dov’è facile perdere l’equilibrio, fra elementi di dubbia utilità come il contingente italiano in Libano, definito “forza di pace”, che sta rimanendo in un pericoloso attendismo

Rimane comunque un sintomo di cattiva salute del sistema internazionale, se le guerre locali si allargano e se non si vede non solo una capacità di mediazione, ma una volontà di accordo.

Ci si potrebbe aspettare un attacco di rappresaglia di Israele in risposta all'attacco missilistico iraniano di questa settimana su Tel Aviv, nonostante l'assenza di vittime, perché Netanyahu vuole che chiunque violi il territorio israeliano debba pagare, visto che solo Israele può arrogarsi tale diritto. Raid aerei sono già stati effettuati fino in Yemen, quindi nessun problema, anche perché nessuno fa nulla, oltre le condanne verbali, e obiettivi come i centri di ricerca iraniani di Fardu, Parchin, Natanz potrebbero essere inclusi nella rappresaglia. Né costituirebbe un problema la eventuale violazione di spazi aerei di Paesi come Libano, Siria, Iraq. Da considerare la reazione, non solo dall’Oran ma anche da parte di Hezbollah, che ha un non indifferente arsenale missilistico, e che a sua volta conosce la dislocazione di centro di comando del Mossad o basi militari di particolare valore.

Allo stesso tempo, è probabile che l'Iran effettui attacchi con droni da parte delle milizie sciite iraniane in Siria o nell'Iraq occidentale contro gli impianti nucleari segreti israeliani e l'aviazione dell'Idf, ed è anche probabile che gli attacchi siano accompagnati da un'escalation di offensive informatiche fra i due Paesi. La marina iraniana potrebbe poi cercare di chiudere lo Stretto di Hormuz, con interruzioni nei flussi di petrolio e gas che provocherebbero un nuovo shock all'economia globale.

Dall’atteggiamento dell’Iran dipende quello americano. Gli israeliani vorrebbero un sostegno sostanziale allo scontro aperto: il massimo livello di intelligence da velivoli e satelliti da ricognizione, supporto negli attacchi informatici, nelle munizioni avanzate e nel rifornimento aereo. Lo scoppio di una guerra regionale su vasta scala Israele-Iran danneggerebbe l'economia globale, ucciderebbe decine di migliaia di soldati e civili, coinvolgerebbe altri Paesi del mondo in guerra con l'Iran e porterebbe alla distruzione delle sue infrastrutture.

Ultimo ma non ultimo: imbarbarimento e disumanizzazione. Le perdite umane sono enormi, il governo israeliano non sembra voler dare priorità agli ostaggi, Europa USA non hanno potuto, voluto o saputo imporre un compromesso a Netanyahu. Nessuno sembra più credere alla soluzione dei due Stati, il fatto è che non ne esistono altre.

( * Direttore responsabile Assadakah News)

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