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Editoriale - Medio Oriente: le scelte prioritarie

Roberto Roggero* - Le convenzioni internazionali stabiliscono che, in caso di aggressione alla sovranità di un Paese, la risposta debba essere debitamente commisurata e proporzionata. Una misura che lo stato sionista non si è mai preoccupato di rispettare, fin dai tempo delle passate Intifada, quando a un lancio di pietre rispondeva con elicotteri da guerra e carri armati. Oggi il problema della risposta proporzionata è la questione prioritaria in esame a Teheran, perché l’ultima operazione israeliana potrebbe segnare l’inizio di una fase ancora più pericolosa.

Oggi Teheran è di fronte a una scelta estremamente delicata: una reazione esporrebbe il Paese a una ulteriore rappresaglia israeliana che potrebbe perfino riguardare i siti nucleari, ma d’altra parte una mancata reazione rischierebbe di passare come debolezza piuttosto che come saggezza. I colpi inferti da Israele a Hamas e Hezbollah hanno pregiudicato gravemente le capacità della Resistenza. Per ripristinare un adeguato livello di autodifesa, alla Repubblica Islamica dell’Iran rimane la possibilità di accelerare il completamento del proprio programma nucleare, in autonomia o con il sostegno russo o nordcoreano. Le stesse aperture del Presidente iraniano Pezeshkian, all’indomani della sua elezione, circa la possibile ripresa del dialogo con l’Occidente per un accordo nucleare, potrebbero essere lo strumento per guadagnare tempo, qualora tali negoziati dovessero andare per le lunghe o fallire.

Non si può escludere che il periodo intorno alle elezioni presidenziali americane, è un momento critico poiché in Israele aumenteranno le voci a favore di un attacco risolutivo contro l’Iran. Se Netanyahu decidesse di colpire i siti nucleari iraniani, Israele dovrebbe ottenere il sostegno americano poiché non dispone di tutte le capacità per operare in piena autonomia. L’alternativa potrebbe essere un attacco ai siti petroliferi in Iran, che colpirebbe l’economia iraniana ma rischierebbe di scatenare una risposta contro le installazioni petrolifere saudite. A Riyadh lo sanno bene, ricordando gli attacchi degli Houthi ai centri di stoccaggio Saudi Aramco.

Il principe ereditario Mohammad Bin Salman ha legato a Vision 2030 il suo nome e la sua credibilità interna e internazionale. Questo imponente programma non è solo un piano di sviluppo economico, ma prevede riforme che, per la loro portata, influiscono profondamente nella società saudita.

La complessità delle scelte che i protagonisti di questa crisi dovranno compiere finirà per segnare, nel bene o nel male, i futuri assetti della regione, in uno scenario che si profila sempre più come una riedizione mediorientale del Grande Gioco.

(*Direttore responsabile Assadakah News)

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