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Editoriale - Medio Oriente: la variabile strategico-economica

Roberto Roggero* - Negli ultimi anni, Israele ci aveva abituato a guerre rapide, compatibili con le caratteristiche di un Paese privo di profondità strategica, con un esercito avanzatissimo per tecnologie ma senza massa, alimentato più da riservisti che da regolari, soprattutto con poca memoria storica dei conflitti precedenti: un capitale umano sottratto a un’economia fatta di start-up ad alto valore aggiunto.

La guerra post 7 ottobre, la più lunga della storia israeliana per le caratteristiche che presentano un assetto multifronte, è incentrata sull’annientamento delle tecno-guerriglie che hanno fatto di missili, tunnel, sotterranei, centri urbani ed aree civili, l’arma di difesa principale, e sta creando più di un problema allo stato sionista, abituato a scatenare e vincere guerre-lampo. Oggi non è più così.

Sono cambiati i nemici, prima convenzionali e affrontati su terreni aperti, ora invece asimmetrici e sviluppati all’interno di centri urbani anche ad alta densità.

L’esercito israeliano paga i tagli di effettivi degli anni passati, e con meno brigate disponibili, per cui è davvero difficile presidiare territori, conquistarli, occuparli e amministrarli, come avvenuto in passato.

Dov’è l’alternativa postbellica a un conflitto che convive con l’utopia dell’annientamento del nemico? Dov’è la Guerra dei Gei Giorni, rapidissima, con una manovra tesa ad annientare il nemico con azioni repentine, improvvise e dirompenti, guidate dalla superiorità dell’intelligence?

Erano gli anni, ormai fin troppo passati, del pugno di ferro di “rabbiniana memoria”: colpire in fretta il cuore del dispositivo nemico, sfruttando concentramenti di truppe corazzate, manovre interne, avvolgimento, appoggio aereo, paracadutisti e unità per la guerra elettronica.

La forza della dottrina militare israeliana è sempre stata ritmi elevati, iniziativa, ampio uso di commandos, mobilità e riserve mobili. Una strategia che si tenta di mettere in pratica anche nel conflitto attuale, anche se il 7 ottobre ha rappresentato una interruzione di tali concetti (non certo la prima per Israele), e determinato lo stop del grande moltiplicatore di potenza che è la sorpresa.

Se è vero che l’operazione walkie-talkie contro Hezbollah riavvicina le IDF ai trascorsi storici, l’incognita odierna è lo scontro ben più problematico con l’Iran, complici le incompatibili geopolitiche imperialiste, incidenza di fattori pseudo-religiosi, ambizione, armamenti, idrocarburi e carenza critica di sistemi di difesa anti-missile, come è stato fatto notare dal quotidiano britannico “Financial Times”.

Israele gode della supremazia aerea totale a Gaza, in Libano e Siria, Iraq e Yemen, ma in Iran, pur potendo effettuare raid massicci e dirompenti, non ha il supporto offensivo americano, che cambierebbe lo scenario.

Teheran , pur avendo incassato alcuni duri colpi, non è certamente sull’orlo della sconfitta, né è dato sapere quale sia il livello tecnologico, di intelligence, combattimento aeroterrestre e azioni in profondità, inoltre ha un esercito con enormi riserve umane, artiglierie, missili e tolleranza alle perdite.

Una guerra su diversi fronti in contemporanea contro la Repubblica Islamica dell’Iran e Hezbollah, combattuta intensamente, potrebbe polverizzare non meno del 10% della ricchezza nazionale israeliana, e fare aumentare a dismisura il deficit di bilancio di Tel Aviv. Non a caso, l’economia nazionale di Israele sta andando a picco, migliaia di aziende hanno già chiuso e molte altre seguiranno, secondo le previsioni.

La prudenza, che non è caratteristica israeliana, lo è invece p er quanto riguarda l’organizzazione iraniana, ed è proprio questa prudenza che riesce a tenere Teheran al di sopra della media regionale.

( * Direttore responsabile Assadakah News)

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