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Editoriale - Masoud Pezeshkian e il New Deal iraniano

Roberto Roggero* - Per la Repubblica Islamica dell’Iran, il cambiamento non era più rinviabile, visto lo scenario internazionale attuale. Un cambiamento che non sarà certo facile, ma indubbiamente necessario, e la stessa elezione a presidente del moderato Masoud Pezeshkian ne è la conferma, 45 anni dopo la Rivoluzione Islamica del 1979 che aveva portato al potere l’Imam Ruhollah Khomeini, che comunque rimane una delle figure di riferimento della storia non solo iraniana.

Un nuovo corso, quindi, voluto dalla stessa leadership iraniana, che ha accettato il nuovo corso, autorizzando la candidatura di Pezeshkian. Senza la tradizionale autorizzazione per la candidatura, il cambiamento non sarebbe stato possibile, e per altro, lo stesso Pezeshkian ha condotto la campagna elettorale fianco e fianco con Mohammad Javad Zarif, ministro degli Esteri dell’ex presidente moderato Hassan Rouhani, protagonista dei negoziati sul nucleare con il presidente americano Barak Obama nel 2015.

L’apertura all’Occidente, promessa dal presidente Pezeshkian è una assoluta necessità nell’attualità della politica e della diplomazia internazionale, per portare l’Iran al livello di protagonista mondiale, per combattere una inflazione oggi al 44%, con un alto tasso di disoccupazione. L’Iran è un Paese ricchissimo dal punto di vista delle risorse naturali, ma dove circa 1/3 della popolazione è costretto sotto la soglia della povertà dalle sanzioni internazionali ancora in atto.

Certo non sarà facile, per il nuovo governo Pezeshkian, conciliare l’apertura verso Occidente e Stati Uniti, con i diversi coinvolgimenti internazionali, anzitutto i conflitti Ucraina-Russia e Hamas-Israele, con particolare attenzione allo Yemen.

In ogni caso, è evidente che con Masoud Pezeshkian il cambiamento è comunque iniziato, specialmente se si guarda alla linea seguita dal conservatore integralista del defunto presidente Ebrahim Raisi, deceduto in un incidente aereo lo scorso 19 maggio insieme al ministro degli Esteri, Amir Abdollahian. Era inoltre evidente che la linea intransigente di Raisi, aveva reso sempre più impopolare la governance di Teheran, anche di fronte alla comunità internazionale, specialmente con i provvedimenti che limitavano i diritti della donna. Il candidato che ha affrontato il ballottaggio, l’ultraconservatore Saaed Jalili, era infatti considerato addirittura vicino alla concezione talebana di governo, con un annunciato inasprimento della stessa condizione della donna, e di fatto la sua elezione sarebbe stato un tuffo indietro nel tempo e avrebbe tagliato fuori la Repubblica Islamica dal progresso sociale, politico e diplomatico internazionale.

Da non dimenticare che il nuovo corso di Masoud Pezeshkian riguarda in particolare la politica economica e l’economia politica (che non sono la stessa cosa): il nuovo presidente ha disposto che della finanza pubblica, nazionale e internazionale, si occupino tecnici esperti del settore, e non politici senza esperienza.

(* Direttore responsabile Assadakah News)

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